Detox: che cosa è successo tra il 7 ed il 9 aprile 2025 (e perché cambia tutto)
 

Questo Post è il quarto di una serie, iniziata ventuno giorni fa. La serie è dedicata al solo tema di mercato oggi rilevante. Ovvero il Detox.

Ventuno giorni fa avete letto del rischio principale che oggi sta di fronte ai mercati finanziari. Due settimane fa vi abbiamo dettagliato la filosofia economica sottostante il Detox. Sette giorni fa, vi abbiamo spiegato perché tutto questo era diventato inevitabile.

Oggi, il Post di Recce’d vi racconta la svolta: che cosa è accduto tra il 7 aprile ed il 9 aprile..

Seguiranno, a breve, altri Post sul tema Detox: i contenuti ci saranno suggeriti dalla stessa evoluzione del mercati finanziari e della realtà



Di “AI” voi avete ancora sentito parlare”? Non potrebbe “AI” risolvere anche la crisi dei mercati?

Di “soft landing”, invece, avete ancora letto qualcosa di recente? Avremmo tutti bisogno del “soft” ma per ora si vede soltanto “hard” in giro …

E Janet Yellen? perché non parla più Janet Yellen? Lei era bravissima, a predicare che “tutto è calmo e tutto è sotto controllo”: Fu proprio lei, a dire “non vedremo più una crisi finanziaria nell’arco delle nostre vite”.

Come Recce’d vi scriveva proprio in questo Post, dodici mesi fa e sei mesi fa e tre mesi fa, “AI” e “soft landing” e “Risiko bancario” erano soltanto … “successi stagionali”: quelli che durano tanto quanto durano le canzonette estive del Festivalbar.

Proprio per questo, ovvero perché noi, con voi lettori, ne scriviamo e parliamo da oltre un anno, oggi non ripeteremo cose già scritte e dette in precedenza.

Ci limitiamo a ripetere per la comodità di chi ci legge che per comprendere i fatti delle ultime settimane, vi sarà più che sufficiente rileggere alcuni recenti Post di Recce’d.

Guardando soltanto al 2025, Recce’d ha trattato in numerose occasioni della nuova realtà del 2025, tra le quali vi ricordiamo:

  1. il Post datato 11 gennaio 2025, dove vi abbiamo anticipato che “la crisi finanziaria è già iniziata” (tre mesi fa)

  2. il Post datato 9 febbraio 2025, dove vi abbiamo anticipato le considerazioni che oggi leggete sui Titoli di Stato USA

  3. il Post datato 22 febbraio 2025, dove vi abbiamo segnalato alcune possibili alternative alla vostra attuale asset allocation per affrontare con successo questa nuova fase dei mercati

  4. uno dei due Post datati 15 marzo, dove potete leggere le nostre valutazioni in merito alla profondità della crisi che è in corso

  5. un secondo Post datato 15 marzo, dove potete leggere dell’impatto della crisi sui vostri portafogli di investimento.

A tutto questo, ovviamente, si aggiunge il Post datato 22 marzo 2025. Il primo della serie che Recce’d dedica al Detox. Poi è venuto il secondo della serie datato 29 marzo 2025, ed anche il terzo datato 5 aprile 20205.

Questo, è il quarto Post della serie Detox. che proseguirà. Oggi, questo è il solo tema dei mercati finanziari.

Nell’immagine che proponiamo qui sopra, il direttore degli investimenti di UBS Wealth Management Italia ci riproprone una lettura dei fatti recenti dei mercati finanziari incentrata al 100% sulle tariffe.

Da molti mesi, noi di Recce’d ripetiamo invece (anche in pubblico, anche qui nel Blog) che le tariffe sono soltanto un “evento collaterale”.

Il nocciolo della questione, l’occhio dell’uragano, si trova da un’altra parte.

E la settimana appena conclusa ce lo ha confermato. La conferma è arrivata direttamente dalla Casa Bianca,

La Casa Bianca ha spiegato i fatti del 9 aprile 2025, in un primo tempo, negando il ruolo dei Titoli di Stato.

Poche ore dopo, però, è stata costretta a modificare la versione ufficiale, nel modo che segue.

Kevin Hassett, direttore del Consiglio Economico Nazionale degli Stati Uniti, ha dichiarato a "Squawk Box" che la volatilità del mercato obbligazionario non è stata una ragione diretta per la sospensione dei dazi di Trump, ma probabilmente ha aggiunto "un po' più di urgenza" alla decisione. "Tutto procedeva ordinatamente. Non c'è dubbio che ieri il mercato dei titoli del Tesoro abbia fatto sì che la decisione, sapete, fosse presa con, credo, forse un po' più di urgenza. Ma era inevitabile", ha affermato Hassett. Il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni è salito oltre il 4,5% e quello a 30 anni ha superato il 5% nella notte di mercoledì, prima della sospensione, con i prezzi delle obbligazioni in calo. Secondo Reuters, gli operatori di mercato hanno affermato che Giappone e Cina potrebbero cedere i titoli di Stato statunitensi e che gli sviluppi potrebbero preoccupare l'amministrazione della Casa Bianca. I rendimenti dei titoli del Tesoro a lungo termine sono scesi da quando è stata annunciata la sospensione dei dazi, con il rendimento del decennale che giovedì mattina si attestava intorno al 4,308%.

Ora, vi chiediamo di rileggere come i media italiani hanno ricostruito la vicenda.

Dopo 18 mila miliardi di dollari di valore azionario spazzato via dal suo ingresso alla Casa Bianca, dopo 14.500 miliardi volatilizzati dalle borse mondiali solo nei cinque giorni lavorativi dall’annuncio dei dazi «reciproci» — perdite medie per oltre 50 mila dollari per ogni americano sul risparmio in azioni — Donald Trump tenta la prima marcia indietro.

Quando ne ha dato l’annuncio lui stesso ieri, la capitalizzazione di mercato sparita nelle prime undici settimane della sua presidenza era simile al prodotto lordo della Cina: la prima (di gran lunga) economia al mondo per volumi di produzione. 

Forse però non è esattamente per i dolori di qualcuno a Wall Street che Trump è arretrato senza aver ancora messo al sicuro concessioni commerciali da alcun Paese. O non solo per quei dolori. Certo avrà pesato il rischio concreto di una recessione americana autoinflitta e targata Trump. Ma dev’essere stata un’occhiata più ampia alla situazione, a far capire al presidente che non poteva tenere. 

Perché a differenza di tante altre fasi di tensione finanziaria dell’ultimo trentennio, stavolta c’era un’anomalia in più a segnalare alla Casa Bianca — per dirla nel linguaggio di Trump stesso — che «non ha le carte». Di solito nelle tempeste gli investitori comprano prodotti americani quali beni rifugio sicuri: i titoli del Tesoro e dunque il dollaro. Entrambi tradizionalmente salgono di valore e scendono dunque in modo speculare i costi del crescente debito del governo americano. In questa crisi, stranamente, accadeva al contrario. E poteva anche essere un sintomo della debolezza finanziaria dalla quale gli Stati Uniti stanno dichiarando la loro «guerra economica» al resto del mondo, nella definizione dell’investitore Warren Buffett. 

Dal Liberation Day dei dazi alla parziale ritirata di ieri, il dollaro aveva già perso il 2% sulla media delle altre principali valute: un’immensità, per il valore più liquido al mondo. Quanto ai titoli di Stato Usa a dieci anni, i loro rendimenti si sono impennati da meno del 4% a un picco di quasi il 4,5%. Qualcuno stava vendendo pesantemente la carta sovrana dell’America, il cui costo del debito saliva. Potevano essere fondi a caccia di denaro dopo le perdite di borsa. O poteva essere la prima, minima comparsa del virus della sfiducia verso l’immenso debito americano e verso una moneta di riserva mondiale nelle mani di Donald Trump: quello status del biglietto verde non è più semplicemente scontato per il futuro. E poteva anche essere, in parte, la Cina. 

Il debito pubblico americano detenuto nelle riserve di Pechino è sceso da 1.300 miliardi nel 2013 a 761 agli ultimi dati; la sua quota è più che dimezzata. Ora la banca centrale cinese sta limitando i rinnovi dei titoli Usa in scadenza e semmai indica agli operatori di accumulare oro. Le misure della Casa Bianca di ieri — relativa clemenza per tutti, escalation su Pechino — puntano a isolare la Cina. Ma Xi Jinping dev’essersi convinto che ha le leve per piegare Trump e non solo grazie al debito Usa ancora nelle sue mani o per le potenziali ritorsioni contro gli impianti di Tesla e della Apple nella Repubblica popolare. 

C’è anche altro: Trump vuole smaniosamente il controllo (tramite capitalisti amici) della rete americana della cinese TikTok, a fini di propaganda politica, ma il negoziato per la sua vendita è bloccato. E ora Xi è anche pronto a rinunciare a quel 14,6% di export della Cina che va negli Stati Uniti pur di segnare un punto nella rivalità fra potenze. Conta sul fatto che la società americana oggi non sia capace di affrontare coesa una recessione prodotta dalle tensioni geopolitiche; ma sa che i cinesi accetterebbero questo ed altri sacrifici, in nome dell’onore della nazione.

Come avete appena letto, al centro di tutta la vicenda c’è il Ministro del Tesoro, che si chiama Scott Bessent: Ministro che proprio nell’ultima settimana ha raggiunto una popolarità universale.

NEW YORK - Molti a Wall Street speravano che Scott Bessent sarebbe stato la voce della ragione nell’amministrazione Trump. Ovviamente il segretario al Tesoro respinge questa etichetta. Ieri ha detto ai giornalisti che il piano di una pausa di 90 giorni nei dazi reciproci è stato concepito sin dall’inizio da Trump: è «l’arte di fare affari».

Miliardario, nato in South Carolina e discendente di ugonotti francesi, fondatore del fondo di investimenti Key Square, gay dichiarato, Bessent è stato dal 1991 al 2015 (con un breve intervallo) il braccio destro di George Soros, il finanziere democratico più odiato dalla destra. Era considerato una scelta pragmatica e rassicurante per il Tesoro sia da Wall Street che dalla classe politica di Washington (ma piace anche a Steve Bannon), a differenza di un altro miliardario amico di Trump, Howard Lutnick, che mirava alla stessa poltrona ed è diventato ministro del Commercio. Bessent è un esperto di turbolenze finanziarie: il suo hedge fund nel 2022 scommise (ed ebbe la ragione) contro la Fed che l’inflazione Usa sarebbe durata più a lungo del previsto.

Sui dazi, Bessent ha abbracciato l’argomentazione di Trump sulla necessità dei dazi per riequilibrare la bilancia commerciale, ma aveva suggerito un approccio incrementale, a partire dal 2,5% contro i 19 Paesi con il peggiore surplus della bilancia commerciale, con aumenti ogni mese della stessa percentuale fino a un massimo del 20% (come aveva promesso Trump in campagna elettorale), per dare tempo al mondo del business di adattarsi e ai Paesi stranieri colpiti dalle tariffe di negoziare con l’amministrazione Usa. Ma Trump voleva molto di più del 2,5%. Il segretario al Tesoro sembrava aver perso quella battaglia.

Eppure il 2 aprile nel Giardino delle Rose non c’erano solo gli strenui sostenitori dei dazi — Howard Lutnick porgeva la tabella con i numeri a Trump e il consigliere per il commercio Peter Navarro spiegava i dati ai giornalisti — ma c’era anche Bessent che aveva fissato interviste con la Cnn e con Bloomberg News dove, diplomaticamente, consigliava di non rispondere con controdazi e di aspettare: le tariffe — diceva — erano al punto più alto possibile e senza sbilanciarsi a chi gli chiedeva se fossero permanenti rispondeva: «Vedremo che cosa succede e come la pensa il presidente».

Con le Borse che crollavano e le critiche (anche da sostenitori di Trump) che aumentavano, il senatore repubblicano Ted Cruz ha suggerito che c’erano «angeli e demoni» che sussurravano nell’orecchio del presidente (i demoni sono quelli che vogliono «dazi alti per sempre»). Domenica scorsa, a due giorni dall’entrata in vigore dei dazi, Bessent è andato a parlare con Trump a Mar-a-Lago ed è tornato in volo con lui a Washington. Lunedì, lo stesso Bessent ha annunciato sui social di aver preso, insieme al rappresentante Usa al Commercio Jamieson Greer, il timone dei negoziati sui dazi. «Bessent e Greer sono più qualificati a trattare senza infiammare, sono i migliori poliziotti per gestire il traffico verso la descalation e verso risultati significativi», ha detto una fonte della Casa Bianca al Financial Times. Martedì il «poliziotto buono» ha suggerito che i colloqui con Giappone e Corea del Sud avrebbero rapidamente portato ad accordi che avrebbero allentato i dazi, mettendo ai margini — per ora —Lutnick e Navarro.

Ieri mattina Bessent era atteso al Congresso per un’audizione, ma ha mandato il suo vice spiegando che era stato chiamato da Trump. Il segretario al Tesoro era nella stanza quando il presidente ha dato (via social) l’annuncio della pausa ed è stato lui a spiegare la decisione ai giornalisti. Lutnick, comunque, scriveva sui social che nella stanza c’era anche lui.

Abbiamo ricostruito per voi lettori la vicenda dei tre giorni decisivi per i mercati finanziari: il 7, l’8 ed il 9 aprile 2025.

Ora, leggiamo insieme un’analisi che si concentra sulle reazioni dei mercati finanziari.


Il presidente Donald Trump era chiaramente disposto a lasciare che il mercato azionario crollasse dopo aver annunciato la scorsa settimana enormi dazi "reciproci" su alleati e avversari degli Stati Uniti, tra cui imposte mirate alle isole antartiche abitate principalmente da pinguini.

 Ma è stata probabilmente la crisi del mercato obbligazionario a spingere la Casa Bianca oltre il limite, ha affermato Marko Kolanovic, ex capo stratega globale di J.P. Morgan.

 Kolanovic ha dichiarato a MarketWatch martedì sera di ritenere che l'amministrazione fosse vicina a ritirare alcuni dei dazi annunciati la settimana scorsa. La sua previsione si è rivelata lungimirante: mercoledì pomeriggio, Trump ha annunciato una sospensione di 90 giorni dei dazi per tutti i Paesi che non avevano attuato ritorsioni contro gli Stati Uniti, aumentando al contempo le imposte sui prodotti cinesi al 125%.

 "Quando il mercato obbligazionario è crollato, è crollata anche tutta la loro narrativa", ha dichiarato Kolanovic a MarketWatch durante un'intervista di follow-up mercoledì. "La loro prima scusa è stata: 'Vabbè, ha funzionato per le obbligazioni'... Il mercato obbligazionario probabilmente li ha forzati".

 I rendimenti dei titoli del Tesoro sono schizzati alle stelle questa settimana, alimentando i timori per una possibile crisi che potrebbe spingere la Federal Reserve a intervenire.

 Mercoledì le azioni statunitensi hanno registrato un'impennata verticale dopo l'annuncio di Trump, con il Nasdaq Composite in rialzo fino all'11% giornaliero a un certo punto. Anche l'S&P 500 e il Dow Jones Industrial Average si trovavano in rialzo.

 Ma Kolanovic ha affermato che non avrebbe necessariamente inseguito questo rally.

 Ci sono ancora delle scarpe da infilare. Più avanti in questa settimana, le aziende inizieranno a pubblicare gli utili del primo trimestre, che potrebbero essere stati influenzati da tutta l'incertezza che circonda il programma commerciale di Trump. Ciò potrebbe indurre una maggiore volatilità sui titoli azionari.

 "Non necessariamente inseguirei questo rally", ha detto Kolanovic. "Penso che questo sia un prezzo più ragionevole ed equo ora, visto che si avvicina la stagione degli utili. Credo che, in modo selettivo, si possano aggiungere alcuni nomi. Se lunedì si era long, si possono realizzare dei profitti."

 Ma Kolanovic apprezza le obbligazioni. “Le obbligazioni non hanno ancora recuperato terreno. Sono ancora in forte calo", ha detto.

 Gli investitori probabilmente staranno attenti a come i dazi di Trump stanno influenzando l'economia e il mercato del lavoro. Dovrebbero tenere d'occhio i dati settimanali sulle richieste di sussidio di disoccupazione, ha detto Kolanovic; l'ultimo lotto dovrebbe essere pubblicato giovedì.

 "Penso che le richieste siano uno di quegli indicatori ad alta frequenza", ha detto. "Se le aziende stanno iniziando a licenziare, dovremmo saperne di più domani."

 Presterà anche molta attenzione ai commenti dei dirigenti aziendali mentre annunciano i risultati e tengono conference call con analisti e stampa.

 Detto questo, Kolanovic non crede che l'agenda commerciale di Trump sia stata definitivamente definita. "Non credo che gli europei gli daranno improvvisamente tutto ciò che vuole", ha affermato il veterano stratega.

 Ma il calo del Cboe Volatility Index, noto come "indicatore di paura" di Wall Street, suggerisce che i mercati probabilmente si calmeranno, almeno temporaneamente. Kolanovic dubita che i mercati assisteranno a ulteriori oscillazioni così forti come quelle che hanno caratterizzato la scorsa settimana. Il VIX era sceso di oltre il 32% a 35,66 mercoledì.

 "Ci sono ancora abbastanza problemi", ha osservato. "Non credo che torneremo ai massimi storici. Sarei piuttosto neutrale in questo caso".


Qui sotto, abbiamo scelto e tradotto per voi un utilissimo articolo del Wall Street Journal, che ci dettaglia le risposte ad alcune delle domande che circolano con maggiore frequenza in queste ore tra gli operatori di mercato e tra gli investitori, a proposito di questa vicenda decisiva per la nostra asset allocation e per la nostra strategia di investimento 2025 - 2026..

Il rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni è salito al 4,47% dal 4,20% registrato in quattro giorni, segnando il suo aumento più significativo dal culmine della crisi finanziaria del 2008.

Il calo dei prezzi delle obbligazioni (la controparte di un aumento dei rendimenti) ha allarmato molti analisti e investitori molto più del recente calo delle azioni.

Perché la svendita dei titoli del Tesoro viene considerata allarmante?

Dall'annuncio dei dazi del Presidente Trump dopo la chiusura del 2 aprile, il valore delle azioni quotate negli Stati Uniti è diminuito di 7,7 trilioni di dollari. Normalmente, i titoli del Tesoro si riprendono durante una forte svendita azionaria, perché gli Stati Uniti sono da tempo il mercato più sicuro e facile da negoziare, ma questa volta non lo sono.

Quanto è grave la svendita dei titoli del Tesoro?

Gli investitori in genere osservano i titoli decennali, che sono ampiamente detenuti e il cui prezzo è diminuito significativamente. Ma i titoli del Tesoro trentennali sono stati particolarmente colpiti, con un aumento del rendimento di quasi mezzo punto percentuale negli ultimi tre giorni, il maggiore dal 1982.

Qual è il rischio maggiore di una svendita dei titoli del Tesoro?

In generale, il denaro affluisce negli Stati Uniti da anni grazie alla sua solida economia, all'apertura ai flussi globali e agli elevati rendimenti degli investimenti. Il rischio maggiore è che questa dinamica si inverta.

"La quantità di denaro investita negli Stati Uniti, sia in titoli di debito che azionari, ora si chiede se quel capitale ritorni effettivamente nei paesi d'origine", ha affermato Robert Dishner, senior portfolio manager di Neuberger Berman.

Quali sono gli altri rischi?

Il ruolo dei titoli del Tesoro statunitensi come asset rifugio per eccellenza implica che il loro declino potrebbe avere implicazioni profonde e imprevedibili sui mercati globali.

"I titoli del Tesoro sono la garanzia in ogni borsa", ha affermato Dishner. "Ci sono implicazioni a livello globale".

Perché sta succedendo questo con i titoli del Tesoro?

Numerose dinamiche sono in gioco nel mercato dei titoli di Stato, affermano analisti e gestori di portafoglio. Tra le altre cose, i rendimenti dei titoli di Stato in tutto il mondo sono generalmente aumentati negli ultimi mesi, riflettendo le preoccupazioni sull'inflazione insieme a episodi specifici come la decisione della Germania di aumentare la spesa militare e le turbolenze che hanno circondato le elezioni francesi.

Allo stesso tempo, i titoli del Tesoro sono oggetto di particolare attenzione perché sono così ampiamente detenuti a livello nazionale e internazionale, e perché alcuni dei paesi che stanno affrontando ingenti dazi sono considerati detentori di quantità di debito statunitense sufficienti a rendere l'"opzione nucleare" delle vendite dirette da parte di quelle nazioni un familiare punto di preoccupazione sul mercato.

Chi sono i maggiori detentori internazionali di titoli del Tesoro?

I due maggiori sono il Giappone, che l'amministrazione continua a considerare un alleato nonostante i dazi del 24% imposti mercoledì, e la Cina, che è al centro di tutte le azioni tariffarie statunitensi.

Quanti titoli del Tesoro sono in mani straniere? Secondo i dati del Tesoro, a gennaio gli investitori stranieri detenevano oltre 8,5 trilioni di dollari in titoli del Tesoro statunitensi. La proprietà dei titoli del Tesoro è difficile da rintracciare perché molti investitori acquistano tramite centri finanziari offshore come Londra o le Isole Cayman.

Il calo dei prezzi delle obbligazioni ha allarmato molti investitori molto più del recente calo delle azioni. Foto: Michael Nagle/XINHUA/Zuma Press

Come è iniziata l'ultima svendita dei titoli del Tesoro?

Ancora la settimana scorsa, i rendimenti dei titoli del Tesoro erano in calo parallelamente ai prezzi delle azioni, svolgendo il ruolo di investimento di lunga data dei titoli di Stato come bene rifugio che aumenta quando gli altri scendono. Ma la situazione è cambiata venerdì sera e le vendite hanno accelerato questa settimana.

Quali sono i fattori che determinano la vendita dei titoli del Tesoro?

Molti analisti hanno puntato il dito contro le operazioni con leva finanziaria degli hedge fund. La strategia al centro delle preoccupazioni è nota come basis trade, ed è stata uno dei fattori chiave della "corsa al contante" del 2020.

Come funziona il basis trading?

Gli hedge fund acquistano titoli del Tesoro in contanti e vendono un contratto future sui titoli del Tesoro a un altro investitore, scommettendo che i due prezzi convergeranno all'avvicinarsi della data di regolamento. La differenza, o spread, è spesso molto piccola, ma gli hedge fund utilizzano la leva finanziaria per aumentare i propri profitti.

Come può andare storto?

Quando il mercato effettua grandi movimenti – come visto negli ultimi giorni – i trader che avevano scommesso su quella che consideravano la certezza della convergenza possono vedere le loro posizioni andare in tilt. Spesso sono costretti a vendere per rimanere entro i limiti di rischio o soddisfare le richieste di margine, o altrimenti rischiare che le loro posizioni vengano liquidate.

Qualcuno avrebbe mai pensato che ciò sarebbe accaduto?

Le autorità di regolamentazione di tutto il mondo mettono in guardia da anni sui rischi posti dalle operazioni basis trading degli hedge fund. Secondo Apollo Global Management, gli hedge fund detengono circa 800 miliardi di dollari in posizioni corte sui future sui titoli del Tesoro, sebbene una ricerca della Federal Reserve abbia suggerito che l'esposizione sia inferiore.

Ci sono spiegazioni contrastanti?

Certamente sì.

  • I dubbi sullo status di bene rifugio dei titoli del Tesoro sono stati amplificati dalla debole domanda per un'asta di obbligazioni triennali da 58 miliardi di dollari tenutasi martedì.

  • Possibile vendita forzata da parte di hedge fund e altri investitori, secondo gli analisti.

  • Gli investitori stranieri potrebbero vendere, sebbene la debolezza dello yuan cinese suggerisca che il governo cinese non stia cedendo i suoi titoli.

  • Le scommesse sull'allentamento normativo sono andate a vuoto: alcuni investitori si aspettavano che gli Stati Uniti allentassero le normative bancarie per consentire alle banche di detenere più titoli del Tesoro. Ora questi investitori stanno subendo un duro colpo.

  • Bilanci dei dealer limitati: le banche che detengono titoli del Tesoro sono entrate nella crisi del mercato con ingenti saldi in titoli del Tesoro. Ciò ha probabilmente limitato la loro capacità di intervenire e sostenere il mercato durante la svendita, ha affermato Giles Gale, stratega dei tassi di interesse di UBS.

In chiusura di Post, per completare sia l’informazione sia l’analisi, abbiamo selezionato per voi lettori un articolo che colloca tutto ciò che avete letto all’interno di una prospettiva futura coerente e credibile, all’interno della quale potete collocare e rivalutare il vostro attuale portafoglio titoli, ed all’interno della quale potrete sviluppare una strategia di investimento vincente e profittevole per voi.

Mentre i mercati azionari crollavano a causa della guerra commerciale, Scott Bessent, Segretario al Tesoro statunitense, ha cercato di calmare i nervi degli investitori lo scorso fine settimana. "La maggior parte degli americani con un piano pensionistico 401(k) ha quello che viene chiamato un conto 60/40... e sono in calo [solo] del 5,6% su base annua", ha dichiarato in televisione. O, in parole povere, poiché i gestori di investimenti in genere investono il 40% di un portafoglio in titoli a reddito fisso, il calo dei prezzi azionari dovrebbe essere in parte compensato dall'aumento dei prezzi delle obbligazioni, dato che questi si muovono tipicamente in direzioni opposte, almeno secondo i manuali di finanza.

Ma non più.

La scorsa settimana, i prezzi delle obbligazioni sono effettivamente aumentati con il calo delle azioni, apparentemente a causa dei crescenti timori di recessione. Ma questa settimana sono crollati a causa dei segnali di scarsa domanda in un'asta di titoli del Tesoro. Ciò è altamente insolito, come sottolineano analisti di mercato come Larry McDonald: durante i crolli azionari del 2008, 2001, 1997 o 1987, i prezzi delle obbligazioni sono aumentati. In effetti, questo doppio colpo si è visto solo di recente, durante il panico da Covid-19.

Se i prezzi delle obbligazioni continuano a scendere insieme a quelli azionari, sorgono almeno tre domande: i mercati possono tollerare questa sofferenza? La Federal Reserve interverrà, come ha fatto nel 2020? E cosa sta guidando la svendita del mercato obbligazionario?

Potremmo non avere risposte alle prime due domande per diversi giorni.

Ma gli indizi sulla terza questione abbondano. Una (ovvia) possibilità è macroeconomica: gli investitori sono preoccupati per l'aumento dell'inflazione a causa dei dazi. Un'altra è che alcuni fondi di investimento stiano probabilmente vendendo i loro asset più liquidi per soddisfare le richieste di margine. Tuttavia, un'altra spiegazione, più inquietante, è che la volatilità stia esplodendo perché gli hedge fund sono costretti a liquidare le loro cosiddette "operazioni di base".

Si tratta di una strategia un tempo arcana che prevede di effettuare "scommesse con leva finanziaria, a volte fino a 100 volte, con l'obiettivo di trarre profitto dalla convergenza tra il prezzo dei future e quello delle obbligazioni", come afferma Torsten Slok del gruppo Apollo Private Capital. Negli ultimi anni, tali operazioni sono esplose, sebbene su una scala difficile da tracciare. In effetti, l'esplosione è così marcata che tre delle cinque principali fonti di domanda di titoli del Tesoro non statunitensi sono state Lussemburgo, Isole Cayman e Londra, centri degli hedge fund.

Il FMI ha recentemente (probabilmente) stimato che queste operazioni valgano 1.000 miliardi di dollari, mentre un'analisi di Bloomberg suggerisce che gli hedge fund detengono il 7% di tutti i titoli del Tesoro, apparentemente più delle banche dealer, e in forte aumento. Slok, da parte sua, afferma che ammontano a "800 miliardi di dollari e [sono] una parte importante dei 2.000 miliardi di dollari in circolazione nei saldi di prime brokerage".

In ogni caso, con il crollo dei mercati obbligazionari, sembra probabile che alcuni fondi siano costretti a chiudere le negoziazioni, creando un effetto frusta simile a quello visto nel 2020. E a peggiorare la situazione è che, mentre luminari del mercato come il fondatore di Bridgewater, Ray Dalio, lanciano allarmanti avvertimenti sul crescente debito americano, aumentano anche le chiacchiere sui potenziali rischi di default futuri. La Casa Bianca insiste nel dire che questo è ridicolo.

Ma gli operatori sanno che quando Trump era "solo" un uomo d'affari, è ripetutamente inadempiente sul proprio debito. Alcune delle idee politiche più azzardate che ora circolano alla Casa Bianca includono potenziali swap del debito o quasi ristrutturazioni. Scenari un tempo inimmaginabili vengono immaginati e prezzati. Poi c'è l'elefante nella stanza dei bond: il rischio che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si trasformi in una guerra di capitali, spingendo Pechino (attualmente il secondo maggiore detentore di titoli del Tesoro) a fuggire dagli asset in dollari. Ci sono scarse prove che ciò accada, per ora. Ma Pechino ha fatto una mossa finanziaria sorprendente questa settimana: ha lasciato che il renminbi si indebolisse rispetto al dollaro, aumentando la prospettiva di guerre valutarie. Questo rende più facile immaginare altri scenari. "Attenzione, una guerra commerciale si trasforma in una guerra finanziaria", ha scritto il responsabile della ricerca valutaria di Deutsche Bank.

Ecco perché Ed Yardeni, stratega macroeconomico, ha detto ai clienti che il team di Trump sta ora "giocando con l'azoto liquido" con i titoli del Tesoro. Forse le parole rassicuranti di Bessent possono calmare gli investitori, o la Fed interverrà – o (si spera) Trump stesso invertirà la rotta sui dazi e/o raggiungerà un accordo con il Giappone, per esempio, che potrebbe calmare i nervi degli investitori. Ma fino ad allora, l'analogia di Yardeni è corretta: potremmo scivolare verso una crisi finanziaria. gillian.tett@ft.com


Recce’d, come sempre, vi ha fornito una puntuale e qualificatissima lettura dei fatti più recenti.

In aggiunta, vi ha segnalato quali sono le cose per voi davvero importanti, separandole nettamente dalle tante cose che vcontano nulla, per la vostra strategia di investimento, per la vostra asset allocation, per la vostra performance 2025 e 2026.

In chiusura, come ogni volta, Recce’d vi regala una concreta e pratica indicazione, per le vostre future mosse nel vostro portafoglio titoli.

In questo momento, le cose si sono chiarite per tutti, non c’è più l’euforia idiota che ha dominato dopo la pandemia, che è stata del tutto spazzata via, e i mercati stanno facendo i conti, in modo duro, con la realtà.

La realtà vince sempre: per questo, è così tanto facile fare guadagni duraturi sui mercati finanziari.

Oggi, in questo momento, è particolarmente facile, contattateci.

Ed utilizzate bene il vostro tempo: concentrate la vostra attenzione sulle affermazioni di Scott Bessent qui sotto.

Cercate di capire in particolare

  • che cosa intende Bessent con “vecchio sistema”

  • che cosa intende Bessent con “calamità” (e se oggi la possiamo escludere).

Valter Buffo
Detox: perché era inevitabile
 

Questo Post è il terzo di una serie, iniziata quattordici giorni fa. La serie è dedicata al solo tema di mercato oggi rilevante. Ovvero il Detox.

Quattordici giorni fa avete letto del rischio principale che oggi sta di fronte ai mercati finanziari. Sette vi abbiamo dettagliato la filosofia economica sottostante il Detox

Oggi, una sintesi per immagini di ciò che sta accadendo ai vostri risparmi, in questo “fast market”: un mercato molto veloce, ma molto semplice.

Seguiranno, a breve, altri tre Post sul tema Detox: approfondiremo il dollaro USA, la visione per il futuro delle economie, ed il nuovo ruolo delle Banche Centrali (del tutto diverso da quello svolto tra il 2009 ed il 2024).

Non ripeteremo cose già scritte e dette in precedenza.

Ci limitiamo a segnare a chi ci legge che per comprendere i fatti delle ultime settimane, vi sarà più che sufficiente rileggere alcuni recenti Post di Recce’d.

Guardando soltanto al 2025, Recce’d ha trattato in numerose occasioni della nuova realtà del 2025, tra le quali vi ricordiamo:

  1. il Post datato 11 gennaio 2025, dove vi abbiamo anticipato che “la crisi finanziaria è già iniziata” (tre mesi fa)

  2. il Post datato 9 febbraio 2025, dove vi abbiamo anticipato le considerazioni che oggi leggete sui Titoli di Stato USA

  3. il Post datato 22 febbraio 2025, dove vi abbiamo segnalato alcune possibili alternative alla vostra attuale asset allocation per affrontare con successo questa nuova fase dei mercati

  4. uno dei due Post datati 15 marzo, dove potete leggere le nostre valutazioni in merito alla profondità della crisi che è in corso

  5. un secondo Post datato 15 marzo, dove potete leggere dell’impatto della crisi sui vostri portafogli di investimento.

A tutto questo, ovviamente, si aggiunge il Post datato 22 marzo 2025. Il primo della serie che Recce’d dedica al Detox. Ed il secondo della serie datato 29 marzo 2025.

Il tema scelto per il Post di oggi è il seguente: vi hanno raccontato alcune cose che non sono vere.

Vi hanno detto il falso.

Ed in questo momento, per voi è importante la consapevolezza. E’ decisivo, per voi lettori, rendersi conto di ciò che accade..

Faremo per voi, in estrema sintesi, un elenco per immagini delle falsità più evidenti che a voi sono state raccontate dai social, dai promotori finanziari, dai media, dai private banker, dalle chat, dai wealth manager, dai financial advisor.

E’ arrivato il momento di aprire gli occhi anche per voi lettori. Ve lo dimostriamo elencando alcuni miti che è ora di sfatare.

Non li tratteremo tutti: alcuni altri, li riserviamo ai Clienti di Recce’d.

Ma potete, molto facilmente, contattarci: andate alla pagina CONTATTI del sito, e vi richiameremo subito. Siamo a portata di mano: approfittatene.


Primo mito da sfatare: le valutazioni in Borsa ormai con contano più. Si tratta, ovviamente, di una mistificazione, grave, che viene proposta e riproposta ad un pubblico di investitori ingenui, poco e male informati. Viene somministrata alla massa degli investitori per sposarli su “prodotti finanziari” di tipo azionario, prodotti che rendono di più (non a voi che pagate le commissioni, attenzione: rendono alle Mediolanum, alle Allianz, alle Fineco ed alle Fideuram, alle Banca Generali di questo Mondo, alle quali voi pagate le commissioni).

Le valutazioni invece contano, per noi investitori, per una semplice ragione: quando la terra trema e si cade di sotto, è ben diverso essere al primo piano oppure al trentunesimo.

Per ciò che riguarda i tre grafici qui sotto, oggi noi lasciamo al nostro lettore il compito di effettuare il lavoro di analisi. Precisando che si tratta del punto centrale: proprio oggi. Se volete capire ed anticipare dove sta andando il mercato di Borsa in questi giorni e nei prossimi mesi, oggi voi siete costretti ad approfondire questi dati, i dati che Recce’d ha selezionato e vi mette a diposizione qui sotto.

Noi, per tutta la settimana scorsa, abbiamo effettuato proprio questo lavoro, nella Sezione Operatività del nostro quotidiano The Morning Brief. E riprenderemo proprio questo lavoro lunedì prossimo


Secondo mito da sfatare: in Borsa si guadagna sempre. E le Borse recuperano sempre. Chi ha voi racconta una storia del genere è un personaggio molto pericoloso, per i vostri risparmi, e parla di una materia che neppure conosce.

Recce’d, al contrario, vi scrive e vi parla degli anni Settanta fin dal mese di agosto dell’anno 2020.

Oggi, ci siete e ci siamo dentro. Solo, un po’ peggio. Noi di Recce’d ve lo avevamo anticipato, ad esempio nel giugno del 2023 e poi ancora nel mese di ottobre 2023.

State sempre lontani il più possibile con chi vi parla di cose che non maneggia e non conosce, al solo scopo di “piazzarvi la merce”.

Terzo mito da sfatare: l’inflazione sta scendendo, e siamo quasi al 2%. Anche un bambino, guardando i dati con un minimo di attenzione, riesce a capire che l’inflazione ha smesso di scendere. Il fatto è curioso, per non dire preoccupante, date le condizione delle economie reali, che da tempo sono in evidente difficoltà.

Perché i prezzi non scendono più? E cosa può succedere nei prossimi 12 mesi? Può scendere dopo che sono arrivate le tariffe? E se invece sale, quali sarebbero le conseguenze per i vostri investimenti, per il vostro portafoglio in titoli, e per la vostra performance?

Vi siete già fatti due conti?

Quale scenario avete in mente oggi per la vostra asset allocation?


Quarto mito da sfatare: il debito ormai per i mercati finanziari non conta più nulla. Tutto ciò che avete visto nei mesi di marzo ed aprile 2025 (ma all’opposto, la cosa vale anche per i mesi precedenti) è la conseguenza di un eccesso di debito che tutti conoscevano (seconda immagine).

Tutto parte dal debito. Incluse le tariffe di Trump. Tariffe che hanno innescato la reazione: ma si tratta della reazione ad un problema che sta da un’altra parte. Trump non avrebbe fatto ciò che ha fatto nel modo in cui lo ha fatto: ma è stato COSTRETTO dalla situazione nella quale si trova ad agire.

Ci hanno raccontato favole per anni (seconda immagine) poi e lo ha spiegato Elon Musk … e come tutti sappiamo Elon è … un genio.

Quinto mito da sfatare: “siamo già entrati in un soft landing”.

Ce lo hanno ripetuto ogni giorno e per più di un anno. Tutti. Garantivano: lo scenario è quello.

I casi sono solo tre: quel qualcuno è molto sciocco, oppure è un profondo incompetente, oppure sta cercando di fregarvi. In tutti e tre i caso, tenetelo bene alla larga dai vostri risparmi.

Anche se si tratta (come nell’immagine del 2007) del vecchio Presidente della Banca Centrale. Oppure (come nelle immagini seconda e terza che seguono) del nuovo Presidente.

Ed anche se i gestori di Fondi Comuni Internazionali sono unanimi, nel dire che siamo già nel soft landing (lo leggete nella quarta immagine che risale a sei mesi fa).

Non fatevi influenzare da certa gente, e non fatevi abbindolare di nuovo, per una ennesima volta, come per la “inflazione transitoria” che vedete citata nella seconda immagine.

Sesto mito da sfatare: per investire bene è necessario puntare sui cosiddetti “macro trend”.

E quindi puntare sull’importanza di avere AI sul telefono cellulare.

Lasciate questo tipo di stupidaggini ai fanatici alimentati dai social e dalle chat (che oggi sono molti), e mettete da parte argomenti che valgono quanto il gossip TV tipo Grande Fratello.

La campagna mediatica su AI è stata orchestrata ad arte negli anni 2023 e 2024 dalle banche di investimento: poi nel 2025 abbiamo scoperto che AI richiede meno finanziamenti e meno investimenti di ciò che voi avete creduto, ed anche che AI fa guadagnare molto meno di ciò che vi avevano raccontato, e soprattutto che chi applicherà AI ai processi di produzione (quando sarà? boh …) non saranno quelle Aziende che a voi avevano venduto come avanguardia di AI. Ve lo ricordiamo con la seconda immagine sotto.

Qualcuno mesi fa ha spiegato che la trimestrale di Nvidia oggi conta più del dato per gli occupati NFP che viene pubblicato mensilmente negli Stati Uniti (terza immagine sotto)? Suggeritegli di cambiare mestiere, di girare per le fiere paesane, e non seguite mai i consigli di simili personaggi.

Settimo mito da sfatare: il vostro portafoglio titoli deve stare sempre fermo e deve sempre investito al 100% in Fondi Comuni, GPM, polizze assicurative, perché il cash è sempre perdente, in ogni situazione dei mercati.

Questa è davvero una sciocchezza colossale, e come tutti i gestori di portafoglio competenti sanno il cash è uno strumento decisivo di attacco, quando si tratta di attaccare i mercati che sono in bolla, come Recce’d ha fatto con successo.

In quella situazione, proprio il cash lo strumento che garantisce il successo: ma vallo a dire al financial advisor, al wealth manager, al private banker, al promotore finanziario pagato a retrocessioni, come è il vostro …

… lui pensa a non perdere le sue, di commissioni, e non pensa certo ai vostri risultati.

Ottavo mito da sfatare: l’eccezionalismo.

A fine 2024 e a inizio 2025, sui social era un tema di gran moda. Ne scrivevano e parlavano tutti, perché “faceva elegante”, parlare a vanvera di una cosa che si chiama “eccezionalismo americano”. Se oggi ne scrivete sui vostri social di riferimento, passerete per il fesso di turno. CNBC ad esempio ne scriveva il 4 dicembre scorso, dicendo che “è indiscutibile, oggi”.

Proprio in quei giorni, gli stessi giorni, Recce’d proponeva ai propri lettori di leggere qui nel Post l’articolo che vedete nella seconda immagine sotto.

Ma soprattutto, in una lunga serie di Post, Recce’d spiegava le ragioni per le quali “l’eccezionalismo americano non è mai esistito”, ragioni che potete ricordare con l’aiuto della terza immagine qui sotto.


Questi sono otto tra i miti di sfatare, i miti che dominano le tecniche di vendita dei promotori finanziari pagati a retrocessione sui prodotti finanziari che a voi vengono venduti.

Altri ne rimangono, ma non abbiamo né il tempo ne lo spazio, in questo Post. Dobbiamo lavorare anche oggi sui portafogli modello dei Clienti.


Ed ora, dopo avervi dimostrato che molte delle cose che a voi erano state raccontate erano menzogne, veniamo come sempre alle conclusioni di carattere operativo.

Quelle che modificano le vostre valutazioni, la vostra strategia di investimento, la vostra asset allocation.


Prima conclusione operativa: fatela finita con i venditori porta-a-porta.

Smettete di dare retta ai venditori, agli sciocchi ed a chi vi vuole ingannare presentandovi cose che non esistono e fatti distorti.

Date invece ascolto a chi è gestore per professione, a chi nelle sue esperienze ha esperienze di gestione, e di successo.

Il mestiere di venditore, e la gestione del portafoglio titoli, hanno nulla in comune. Zero.

I gestori, i veri gestori, le domande giuste se le fanno con un anno di anticipo. E trovano le risposte. Ovvero le mosse azzeccate per il portafoglio titoli.

Questo distingue chi è professionista della gestione da chi svolge una attività di vendita.


Seconda conclusione operativa: la pazienza è un elemento essensiale del successo nell’investimento.

I grandi guadagni, nella gestione degli investimenti, si fanno con il sapere attendere e con la pazienza. Non con la frenesia, con l’entra-ed-esci, e ricorrendo i social e le chat.

Ciò che si ottiene senza metterci pazienza, vale nulla.


Terza conclusione operativa: investire il denaro non è un video gioco per ragazzini.

Se siete affascinata dall’euforia, dai “rialzi record”, dai “mercati slegati dai fondamentali”, dal fatto che “sui mercati si può guadagnare bene anche senza fare tante analisi”, se voi siete affascinati dai social, dalle furbate ed dal rincorrere le mode …

… adesso non vi resta che orientarvi sulla banana di Cattelan.

Quarta conclusione operativa: se si producesse davvero ricchezza stampando moneta, allora per sconfiggere la stupidità sarebbe sufficiente stampare diplomi.

Quinta conclusione operativa: Warren Buffet non sa nulla più di ogni altro investitore.

E’ semplicemente più bravo, più competente, più intelligente e più scaltro.

E molte, delle cose che ha detto di recente, le potevate legge anche qui nel Blog: e fin dal 2022. Ad esempio nel giugno del 2023 e poi ancora nel mese di ottobre 2023.

Applicate subito, oggi queste cinque concrete indicazioni alla vostra asset allocation ed alla vostra strategia futura di gestione del risparmio.

Ritroverete subito la serenità, la chiarezza della visione per il futuro del vostro risparmio, ed anche i risultati.


E dato che il tempo oggi è scarso (dobbiamo lavorare anche oggi sui portafogli modello dei Clienti), affidiamo le conclusioni del Post a Mohamed El Erian. Che in molte occasioni la vede come noi. Questa è una di quelle occasioni.

"Dimmi solo come andranno a finire le cose!" È una domanda che molti si pongono mentre l'economia globale subisce un autentico cambiamento di paradigma che va ben oltre l'annuncio delle tariffe degli Stati Uniti che sta attualmente sconvolgendo i mercati e le aziende globali. Pensalo come un cambiamento "a tre S" nel modo in cui funzionano le cose: strutturale, secolare e sistemico.

Questo cambiamento vede la politica guidare in modo schiacciante l'economia in un momento in cui molte economie nazionali sono insolitamente vulnerabili a forze esterne insidiose. Il ruolo globale un tempo fondamentale dell'America non solo sta cambiando oltre ciò a cui la maggior parte dei dirigenti e degli investitori si sono preparati. È certo che innescherà comportamenti altrettanto inquietanti da parte di altri paesi.

In poche settimane, gli Stati Uniti, un tempo visti come il motore affidabile dell'economia globale a causa del loro "eccezionalismo", sono diventati soggetti a crescenti preoccupazioni sulla "stagflazione", una preoccupante combinazione di crescita rallentata e inflazione crescente. Invece di discutere di entusiasmanti innovazioni che aumentano la produttività, governi e aziende in tutto il mondo sono preoccupati per l'escalation tariffaria tit-for-tat, la rottura della governance tradizionale e la sfida di finanziare una maggiore difesa in un'epoca meno sicura.

Mentre i diversi paesi variano nel grado di spazio a loro disposizione per adattare politica e strategia, c'è un margine di manovra limitato poiché la flessibilità fiscale è limitata dall'elevato livello di debito e deficit. C'è anche molta meno fiducia nella capacità della Federal Reserve statunitense di tagliare i tassi di interesse per sostenere una crescita non inflazionistica.

Tali problemi si riflettono sempre di più nei sondaggi su come si sentono le aziende e gli individui, così come nei mercati finanziari. La fiducia delle aziende e delle famiglie statunitensi è diminuita, mentre le aspettative di inflazione a lungo termine sono aumentate a un livello mai visto da più di tre decenni. Sia gli indici azionari S&P che Nasdaq hanno chiuso il primo trimestre con forti cali e il prezzo dell'oro, il tradizionale rifugio, è salito da un livello record all'altro.

La sottoperformance delle azioni statunitensi rispetto alle loro controparti europee è stata sbalorditiva. Mentre i mercati si preoccupano della perdita dell'eccezionalismo economico degli Stati Uniti, l'Europa è sull'orlo di una trasformazione economica mentre la Germania risponde al suo "momento Sputnik", sfruttando il suo spazio fiscale relativamente più ampio. Mettendo da parte le carenze strutturali di lunga data, gli investitori hanno improvvisamente abbracciato le prospettive della più grande economia europea che guida un processo continentale di aumento della spesa per la difesa e le infrastrutture, nonché uno sforzo più serio per colmare il divario di innovazione con la Cina e gli Stati Uniti.

Mentre la maggior parte concorderebbe prontamente sul fatto che il viaggio immediato dell'economia globale sarà ancora più accidentato, è difficile prevedere dove tutto questo andrà a parare. In effetti, ho recentemente tentato di farlo, attingendo alla saggezza collettiva di diversi economisti e analisti di mercato che rispetto.

Per ottenere chiarezza, ho delineato due destinazioni opposte. Uno era un rifacimento in stile Reagan-Thatcher attraverso un processo di distruzione creativa, che ha portato a economie più efficienti, settori governativi semplificati, crescita globale più equilibrata e un sistema commerciale più equo. In breve, anche un assetto molto più favorevole per sfruttare la promessa di produttività di entusiasmanti innovazioni nell'intelligenza artificiale, nella robotica, nelle scienze della vita e altro ancora.

L'altro scenario è che le relazioni economiche e finanziarie critiche si rompono anziché essere ricostruite. Le dinamiche stagflazionistiche simili a quelle viste negli Stati Uniti sotto Jimmy Carter diventano sempre più complesse da rimuovere. L'armamentizzazione del commercio e della finanza internazionali diventa la regola piuttosto che l'eccezione. E, senza una profonda crisi che minaccia una depressione globale pluriennale, ci sono poche prospettive del tipo di coordinamento politico internazionale necessario per affrontare le sfide comuni, come le questioni ambientali e gli standard per le innovazioni.

Non c'era un gruppo di risposte quando i miei colleghi hanno espresso la loro opinione sulle probabilità di questi due scenari. Invece, variavano da 80/20 in percentuali relative a 20/80. Purtroppo, questo è realistico. Le economie occidentali stanno affrontando un massiccio cambiamento di regime che è pluriennale nella sua evoluzione. Gli effetti, sebbene incerti, saranno probabilmente di vasta portata.

Invece di aspettare chiarezza e sperare in un ritorno alla media, le aziende e i governi di tutto il mondo devono accettare di operare ora in un'economia globale in un viaggio accidentato verso una destinazione sconosciuta. Per prosperare in un mondo di cambiamenti strutturali pluriennali, devono abbracciare l'incertezza e la volatilità piuttosto che esserne paralizzati; e devono adottare un grado di umiltà, resilienza e agilità che potrebbe essere ben oltre ciò a cui sono abituati. Oltre a ciò, non ci sono risposte comuni e nessuna soluzione semplice. È davvero un mondo nuovo, ed è inquietante.

L'autore è presidente del Queens' College, Cambridge, e consulente di Allianz e Gramercy.

Valter Buffo
Detox: “siamo tutti socialisti oggi”
 

Questo Post è il secondo di una serie, iniziata sette giorni fa. La serie è dedicata al solo tema di mercato oggi rilevante. Ovvero il Detox.

Sette giorni fa avete letto del rischio principale che oggi sta di fronte ai mercati finanziari. Oggi vi raccontiamo della filosofia economica sottostante.

Seguiranno, a breve, altri tre Post sul tema Detox: approfondiremo il dollaro USA, la visione per il futuro delle economie, ed il nuovo ruolo delle Banche Centrali (del tutto diverso da quello svolto tra il 2009 ed il 2024).

La grade maggior parte degli investitori oggi è nella totale confusione. Chiede supporto, chiede elementi che aiutino a capire. chiede analisi di qualità: e non ne trova.

Domina l’ansia, domina l’incertezza, ed in molti casi domina persino la paura.

Il quadro che era stato disegnato, a questi, dalle Reti di venditori di prodotti finanziari (promotori finanziari che si fanno chiamare private banker oppure family banker oppure financial advisor) è andato in pezzi nello spazio di soli 60 giorni. Quello che a tutti voi è stato raccontato in gennaio è stato ridotto in macerie nello spazio di poche settimane. Oggi, non esiste un nuovo quadro di riferimento.

I titoli dei quotidiani, si concentrano su Trump. L’investitore, che oggi si concentrasse su Trump e sulle tariffe, non ha capito nulla di ciò che sta succedendo ai suoi risparmi.

Spieghiamo in modo molto sintetico, grazie ad una serie di immagini.

Che cosa ha prodotto questo vero e proprio terremoto?

Se leggiamo i quotidiani, tutto è stato innescato dagli Stati Uniti. Non è il modo in cui Recce’d legge la situazione attuale delle economie e dei mercati.

Ma restiamo, per il momento, alla interpretazione prevalente sui media. I quotidiani ed i TG, per non parlare dei social (che come sempre amplificano il rumore) sono strapieni di titoli sulle tariffe. Trump in effetti è ogni giorno più aggressivo (nelle sue dichiarazioni), insieme con i suoi Ministri.

Perché lo fa? Perché è così tanto aggressivo?

E per quale ragione va all’attacco dei suoi antichi alleati, e non di Paesi “nemici” come Cina, Russia ed IRAN?

Perché sembra che Trump voglia creare una situazione di caos economico? E persino una recessione globale?

Non è difficile da capire.

Ce lo ho spiegato lui stesso, Donald Trump. Insieme con i suoi Ministri

E noi lo abbiamo già spiegato a tutti voi, nelle ultime settimane, proprio qui nel Blog.

Guardando soltanto al 2025, Recce’d ha trattato in numerose occasioni della nuova realtà del 2025, tra le quali vi ricordiamo

  1. il Post datato 11 gennaio 2025, dove vi abbiamo anticipato che “la crisi finanziaria è già iniziata” (più di due mesi fa)

  2. il Post datato 9 febbraio 2025, dove vi abbiamo anticipato le considerazioni che oggi leggete sulle politiche di emissione dei Titoli di Stato USA

  3. il Post datato 22 febbraio 2025, dove vi abbiamo segnalato alcune possibili alternative alla vostra attuale asset allocation per affrontare con successo questa nuova fase dei mercati

  4. uno dei due Post datati 15 marzo, dove potete leggere le nostre valutazioni in merito alla profondità della crisi che è in corso

  5. un secondo Post datato 15 marzo, dove potete leggere dell’impatto della crisi sui vostri portafogli di investimento.

A tutto questo, ovviamente, si aggiunge il Post che precede questo, datato 22 marzo 2025. Il primo della serie che Recce’d dedica al Detox.

Le tariffe di Trump, sono un mezzo: e non il fine. Questo ci auguriamo che i nostri lettori lo abbiano ben chiaro.

Le tariffe servono a trasmettere un messaggio di “potere politico” al di fuori degli Stati Uniti.

Le tariffe non risolvono il problema, e neppure sono il problema.

Il problema, quello vero, si chiama Detox, come abbiamo illustrato già sette giorni fa, nel Post che precede questo che ora state leggendo, ed anche in alcuni Post precedenti già citati poco sopra.

Questa è la situazione, oggi. Che cosa se ne ricava, per la gestione del proprio risparmio?

Che cosa ne ricaviamo, di davvero importante, noi gestori di portafogli modello, e voi lettori ed investitori? Principalmente quattro conclusioni di carattere operativo, che ora andiamo a dettagliarvi.

PRIMA CONCLUSIONE: l’inflazione, oggi, non interessa più a nessuno. Lo leggete nell’immagine qui sotto. Anticipate le ricadute sul vostro attuale portafoglio. Rivedete la asset allocation, Ripensate la strategia di investimento.

SECONDA CONCLUSIONE: i promotori finanziari (financial advisor, private banker o wealth manager) di Mediolanum, di Fineco, di Fideuram, di Allianz, di Banca Generali, sono ancora al lavoro per cercare di convincervi ad acquistare Fondi Comuni e GPM, sulla base di una vecchia impostazione, superata dai fatti.

La potete leggere qui sotto, sintetizzata dall’immagine. Recce’d vi ripete che le cose, nella realtà, funzionavano così trenta anni fa, oggi non funzionano più così, il Mondo è diverso. Seguire questo tipo di criteri, per la asset allocation e la strategia di investimento, nel 2025 è dannoso, se tenete ai vostri risparmi. Avete bisogno di una impostazione radicalmente diversa.

Oppure, rimanete così come siete: ma siete oggi piazzati … proprio male.

TERZA CONCLUSIONE: davanti ai mercati finanziari, davanti a voi e davanti a noi, oggi nel marzo 2025 rimane un solo scenario possibile , proprio come Recce’d ha scritto in questo Post nel 2023 ed anche nel 2024.

Ad esempio nel giugno del 2023 e poi ancora nel mese di ottobre 2023.

Se ci avete letti allora, oggi vivete questi mesi senza alcuna ansia o paura. Noi, nel 2023, vi avevamo anticipato tutto ciò che leggete sul Sole 24 Ore e Milano Finanza oggi.

Resta da esporre una QUARTA CONCLUSIONE ma lo faremo solo in chiusura del Post che state leggendo.

Ora, concentriamo l’attenzione sulla strategia di gestione del portafoglio di investimenti finanziari.

La vostra strategia di investimento vi permetterà di guadagnare, da questo scenario che oggi tutti si trovano ad affrontare?

Oppure vi siete fatti convincere che “sì, è vero, siamo destinati a perdere soldi, ma non si può sfuggire, non c’è modo di guadagnare, per i prossimi cinque anni”.

Attenzione, che non è vero: anzi, è una bugia colossale. Quando si passa ad una Nuova Era, per gli investitori ci sono le più grandi opportunità di investimento di sempre.

Se siete interessati a coglierle, queste grandissime opportunità di guadagno (che ovviamente non sono Nvidia, e neppure Tesla, e neppure il Bitcoin) dovete iniziare a ragionare in modo diverso e poi soprattutto a fare scelte diverse, scelte di mercati, scelte di posizioni, scelte di strumenti finanziari, scelte di consulenti.

Consulenti che hanno professionalità ed onestà sufficienti, per spiegare a voi investitori che NO, questa NON è la “solita recessione”, e meno che mai la “solita correzione dei mercati finanziari”.

Questa NON è “la solita recessione” e questa NON è “la solita correzione dei mercati finanziari”.

Questo è il Detox.

Se non avete un consulente affidabile e competente a disposizione, e se il vostro consulente sta ancora cercando di convincervi a tenere in portafogli i disastrosi Fondi Comuni, i dannosi certificati, e le pericolose GPM, come sempre ha fatto …

… allora contattate Recce’d. Insieme, vedremo di rimettere a posto uno schema come quello che segue (quello che JP Morgan proponeva ai Clienti per il 2023): come vedete, loro non ci aveva capito assolutamente nulla, del Mondo e dei mercati finanziari, a differenza di Recce’d.

Fino a questo punto, in questo Post vi abbiamo offerto una ricapitolazione: tutte cose già note, già viste nei fatti, scritte da Recce’d anni fa.

Se persino oggi non le avete capite, allora cari amici lettori siete … in grossi guai. Il vostro disagio, e la vostra ansia, sono pienamente giustificate.

Per aggiungere qualche cosa di originale, ora noi di Recce’d vi regaliamo un nuovo spunto di strategia, una nuova visione.

Ci spostiamo, quindi, fuori dall’attualità e in una prospettiva strategica.

Ed anche questo, amici lettori, se non lo avete capito, vi espone al rischio di danni importanti nella gestione del vostro risparmio. E entro breve tempo.

Ciò su cui Recce’d oggi vi suggerisce di riflettere a fondo è appunto un tema strategico: come si può spiegare che le tariffe, strumento di politica economica tipico di una politica economica centralizzata, dirigistica e quindi di stampo socialista ed avversata dai liberali, sia al centro di un disegno politico messo in pratica da esponenti di una cultura politica, di stampo conservatore, che si è da sempre contraddistinta per essere favorevole al libero mercato, alla liberta degli scambi commerciali, ed al “minimo intervento possibile dello Stato nell’economia?”.

Noi adesso ve lo facciamo spiegare da un avversario politico di Trump: da un personaggio che si colloca all’estremo opposto rispetto a Trump ed alla sua Amministrazione. Una figura il cui pensiero ha radici anche nel marxismo, e che successivamente l’Europa ha conosciuto come Ministro delle Finanze greco ai tempi della crisi del debito.

Proprio gli avversari, in molti casi, sono capaci di cogliere, e poi spiegare, le intenzioni autentiche di un leader politico.

Leggiamo per questo motivo oggi un articolo di Yannis Varoufakis. L’articolo che segue, articolo che noi giudichiamo molto chiaro e concreto ed utile per tutti gli investitori.

Come abbiamo già precisato in precedenti occasioni: vi chiediamo di leggere opinioni di altri, il che non significa che sono le nostre opinioni.

Semplicemente, noi giudichiamo che, in molte parti, questo contributo che segue vi sarà utile, perché vi aiuta a ragionare sui fatti e non sulle storielle fantasiose che leggete sui social, che leggete sui quotidiani, che ascoltate dai GR e dai TG.

Se siete interessati invece alle nostre opinioni, ed alla nostra visione strategica, potete contattarci attraverso la nostra pagina CONTATTI: vi richiameremo subito, e ne parleremo insieme.

Di fronte alle mosse economiche del presidente Trump, i suoi critici centristi oscillano tra la disperazione e una toccante fede che la sua frenesia tariffaria si esaurirà. Presumono che Trump sbufferà e sbufferà finché la realtà non esporrà la vacuità della sua logica economica. Non ci hanno fatto caso: la fissazione tariffaria di Trump fa parte di un piano economico globale solido, anche se intrinsecamente rischioso.

Il loro pensiero è radicato in un'idea sbagliata di come si muovono i capitali, il commercio e il denaro nel mondo. Come il birraio che si ubriaca della sua stessa birra, i centristi hanno finito per credere alla loro stessa propaganda: che viviamo in un mondo di mercati competitivi in ​​cui il denaro è neutrale e i prezzi si adeguano per bilanciare la domanda e l'offerta di ogni cosa. L'ingenuo Trump è, in effetti, molto più sofisticato di loro in quanto capisce come il potere economico grezzo, non la produttività marginale, decida chi fa cosa a chi, sia a livello nazionale che internazionale.

Sebbene rischiamo di essere spiati dall'abisso quando proviamo a guardare nella mente di Trump, abbiamo bisogno di comprendere il suo pensiero su tre questioni fondamentali:

  • perché crede che l'America sia sfruttata dal resto del mondo?

  • Qual è la sua visione di un nuovo ordine internazionale in cui l'America possa tornare ad essere "grande"?

  • Come pensa di realizzarlo?

Solo allora potremo produrre una critica sensata del piano economico di Trump.

Allora perché il Presidente crede che all'America sia stato fatto un cattivo affare? La sua principale lamentela è che la supremazia del dollaro può conferire enormi poteri al governo e alla classe dirigente americani, ma, in ultima analisi, gli stranieri lo stanno usando in modi che garantiscono il declino degli Stati Uniti. Quindi ciò che la maggior parte considera un privilegio esorbitante dell'America, lui lo vede come un fardello esorbitante.

Trump si lamenta del declino della produzione manifatturiera statunitense da decenni: "se non hai acciaio, non hai un paese". Ma perché dare la colpa al ruolo globale del dollaro? Perché, risponde Trump, le banche centrali straniere non lasciano che il dollaro si abbassi al livello "giusto", al quale le esportazioni statunitensi si riprendono e le importazioni vengono frenate. Non è che le banche centrali straniere stiano cospirando contro l'America. È solo che il dollaro è l'unica riserva internazionale sicura su cui possono mettere le mani.

È naturale che le banche centrali europee e asiatiche tesaurizzino i dollari che fluiscono verso Europa e Asia quando gli americani importano cose. Non scambiando la loro scorta di dollari con le proprie valute, la Banca centrale europea, la Banca del Giappone, la Banca popolare cinese e la Banca d'Inghilterra sopprimono la domanda (e quindi il valore) delle loro valute. Ciò aiuta i loro esportatori ad aumentare le vendite in America e a guadagnare ancora più dollari. In un circolo infinito, questi dollari freschi si accumulano nelle casse delle banche centrali straniere che, per ottenere interessi in sicurezza, li usano per acquistare debito pubblico statunitense.

Ed ecco il problema. Secondo Trump, l'America importa troppo perché è un buon cittadino globale che si sente obbligato a fornire agli stranieri le riserve di dollari di cui hanno bisogno. In breve, la produzione manifatturiera statunitense è in declino perché l'America è un buon samaritano: i suoi lavoratori e la sua classe media soffrono affinché il resto del mondo possa crescere a sue spese.

Ma lo status egemonico del dollaro sostiene anche l'eccezionalismo americano, come Trump sa e apprezza. Gli acquisti di titoli del Tesoro USA da parte delle banche centrali straniere consentono al governo degli Stati Uniti di gestire deficit e pagare un esercito sovradimensionato che manderebbe in bancarotta qualsiasi altro paese.

Ed essendo il perno dei pagamenti internazionali, il dollaro egemonico consente al Presidente di esercitare l'equivalente moderno della diplomazia delle cannoniere: sanzionare a piacimento qualsiasi persona o governo.

Questo non è sufficiente, agli occhi di Trump, per compensare la sofferenza dei produttori americani che sono indeboliti dagli stranieri i cui banchieri centrali sfruttano un servizio (riserve in dollari) che l'America fornisce loro gratuitamente per mantenere il dollaro sopravvalutato. Per Trump, l'America si sta indebolendo per la gloria del potere geopolitico e l'opportunità di accumulare i profitti altrui.

Queste ricchezze importate avvantaggiano Wall Street e gli agenti immobiliari, ma solo a spese delle persone che lo hanno eletto due volte: gli americani nelle zone centrali che producono i beni "maschili" come l'acciaio e le automobili di cui una nazione ha bisogno per rimanere vitale.

E questa non è la peggiore delle preoccupazioni di Trump. Il suo incubo è che questa egemonia sarà fugace. Nel 1988, mentre promuoveva la sua Art of the Deal su Larry King e Oprah Winfrey, si lamentava: "Siamo una nazione debitrice. Qualcosa accadrà nei prossimi anni in questo paese, perché non puoi continuare a perdere 200 miliardi di dollari all'anno".

Da allora, si è sempre più convinto che si stia avvicinando un terribile punto di svolta: mentre la produzione americana diminuisce in termini relativi, la domanda globale di dollari aumenta più velocemente dei redditi statunitensi. Il dollaro deve quindi apprezzarsi ancora più velocemente per tenere il passo con le esigenze di riserva del resto del mondo. Questo non può andare avanti per sempre.

Perché quando i deficit statunitensi superano una certa soglia, gli stranieri andranno nel panico. Venderanno i loro asset denominati in dollari e troveranno un'altra valuta da accumulare. Gli americani si troveranno in mezzo al caos internazionale con un settore manifatturiero distrutto, mercati finanziari abbandonati e un governo insolvente.

Questo scenario da incubo ha convinto Trump che è in missione per salvare l'America: che ha il dovere di inaugurare un nuovo ordine internazionale. Ed è questo il succo del suo piano:

realizzare nel 2025 uno shock anti-Nixon decisivo, uno shock globale che annulli il lavoro del suo predecessore ponendo fine al sistema di Bretton Woods nel 1971 che ha guidato l'era della finanziarizzazione.

Al centro di questo nuovo ordine globale ci sarebbe un dollaro più economico che rimane la valuta di riserva mondiale, il che abbasserebbe ulteriormente i tassi di prestito a lungo termine degli Stati Uniti. Trump può avere la botte piena e la moglie ubriaca (un dollaro egemonico e titoli del Tesoro USA a basso rendimento) e mangiarsela (un dollaro deprezzato)? Sa che i mercati non lo faranno mai di loro spontanea volontà. Solo le banche centrali straniere possono farlo per lui. Ma per accettare di farlo, devono prima essere spinte all'azione. Ed è qui che entrano in gioco i suoi dazi.

Questo è ciò che i suoi critici non capiscono. Pensano erroneamente che lui creda che i suoi dazi ridurranno da soli il deficit commerciale degli Stati Uniti. Lui sa che non lo faranno. La loro utilità deriva dalla loro capacità di spingere le banche centrali straniere a ridurre i tassi di interesse nazionali. Di conseguenza, l'euro, lo yen e il renminbi si indeboliranno rispetto al dollaro. Ciò annullerà gli aumenti dei prezzi dei beni importati negli Stati Uniti e lascerà inalterati i prezzi pagati dai consumatori americani. I paesi soggetti a dazi pagheranno di fatto i dazi di Trump.

Ma i dazi sono solo la prima fase del suo piano generale. Con dazi elevati come nuova impostazione predefinita e con denaro straniero che si accumula nel Tesoro, Trump può aspettare il momento giusto mentre amici e nemici in Europa e Asia chiedono a gran voce di parlare. È allora che entra in gioco la seconda fase del piano di Trump: la grande negoziazione.

A differenza dei suoi predecessori, da Carter a Biden, Trump disdegna gli incontri multilaterali e le trattative affollate. È un uomo uno a uno. Il suo mondo ideale è un modello a mozzo e raggi, come una ruota di bicicletta, in cui nessuno dei singoli raggi fa molta differenza nel funzionamento della ruota. In questa visione del mondo, Trump si sente sicuro di poter gestire ogni raggio in sequenza. Con i dazi da un lato e la minaccia di rimuovere lo scudo di sicurezza americano (o di schierarlo contro di loro) dall'altro, ritiene di poter convincere la maggior parte dei paesi ad acconsentire.

Acconsentire a cosa? Per apprezzare sostanzialmente la loro valuta senza liquidare le loro riserve a lungo termine in dollari. Non solo si aspetterà che ogni raggio riduca i tassi di interesse nazionali, ma chiederà cose diverse a diversi interlocutori.

Ai paesi asiatici che attualmente tesoreggiano la maggior parte dei dollari, chiederà di vendere una parte dei loro asset in dollari a breve termine in cambio della loro valuta (che quindi si apprezza).

Da un'eurozona relativamente povera di dollari e costellata di divisioni interne che aumentano il suo potere negoziale, Trump potrebbe chiedere tre cose: che accettino di scambiare i loro titoli a lungo termine con titoli a lunghissimo termine o forse persino perpetui; che consentano alla produzione tedesca di migrare in America; e, naturalmente, che acquistino molte più armi prodotte negli Stati Uniti.

Riesci a immaginare il sorrisetto di Trump al pensiero di questa seconda fase del suo piano generale? Quando un governo straniero acconsentirà alle sue richieste, avrà ottenuto un'altra vittoria. E quando un governo recalcitrante resiste, i dazi restano, dando al suo Tesoro un flusso costante di dollari di cui può fare a meno nel modo che ritiene opportuno (dato che il Congresso controlla solo le entrate fiscali).

Una volta completata questa seconda fase del suo piano, il mondo sarà diviso in due campi: un campo protetto dalla sicurezza americana a costo di una valuta apprezzata, della perdita di impianti di produzione e degli acquisti forzati di esportazioni statunitensi, comprese le armi.

L'altro campo sarà strategicamente più vicino forse alla Cina e alla Russia, ma comunque collegato agli Stati Uniti attraverso un commercio ridotto che fornisce comunque agli Stati Uniti entrate tariffarie regolari.

La visione di Trump di un ordine economico internazionale desiderabile potrebbe essere violentemente diversa dalla mia, ma questo non dà a nessuno di noi la licenza di sottovalutarne la solidità e lo scopo, come fanno la maggior parte dei centristi.

Come tutti i piani ben congegnati, questo potrebbe, ovviamente, andare storto. Il deprezzamento del dollaro potrebbe non essere sufficiente ad annullare l'effetto delle tariffe sui prezzi pagati dai consumatori statunitensi. Oppure la vendita di dollari potrebbe essere troppo grande per mantenere bassi i rendimenti del debito statunitense a lungo termine. Ma oltre a questi rischi gestibili, il piano generale verrà messo alla prova su due fronti politici.

La prima minaccia politica al suo piano generale è interna. Se il deficit commerciale inizia a ridursi come previsto, il denaro privato estero smetterà di inondare Wall Street. All'improvviso Trump dovrà tradire la sua tribù di finanzieri e agenti immobiliari indignati o la classe operaia che lo ha eletto.

Nel frattempo, si aprirà un secondo fronte. Considerando tutti i paesi come raggi del suo hub, Trump potrebbe presto scoprire di aver creato dissenso all'estero. Pechino potrebbe gettare la cautela al vento e trasformare i BRICS in un nuovo sistema di Bretton Woods in cui lo yuan svolge il ruolo di ancoraggio che il dollaro ha svolto nella Bretton Woods originale. Forse questa sarebbe l'eredità più sorprendente, e la punizione, del piano altrimenti impressionante di Trump.


Yanis Varoufakis is an economist and former Greek Minister of Finance. He is the author of several best-selling books, most recently Another Now: Dispatches from an Alternative Present.


Da questo testo, che riassume lo stato dei fatti al marzo 2025 ed offre anche una sua interpretazione, noi ora riprendiamo quello che, a nostro parere, è il passaggio più importante. E precisamente, quello dove l’Autore scrive:

Ed è questo il succo del suo piano: realizzare nel 2025 uno shock anti-Nixon decisivo, uno shock globale che annulli il lavoro del suo predecessore ponendo fine al sistema di Bretton Woods nel 1971 che ha guidato l'era della finanziarizzazione.


Ripetiamo che, se non avete ancora compreso questo aspetto della realtà al marzo 2025 allora siete in grande ritardo, e il vostro risparmio (tutto intero) corre oggi rischi dei quali non vi rendete conto.

Ripetiamo: si tratta di comprendere che questa non è “la solita recessione” e che questa non è “la solita correzione dei mercati”.

Molti se ne sono già resi conto, e noi ora sfruttiamo il lavoro di uno di questi osservatori: in particolare, vi facciamo leggere nel seguito l’articolo del Financial Times pubblicato la settimana scorsa.

Ma prima, come promesso, la nostra quarta conclusione a carattere operativo, che voi potete (dovete) applicare subito, modificando la vostra asset allocation attuale e poi seguendo una diversa strategia per l’impiego dei vostri risparmi.


QUARTA CONCLUSIONE: oggi, nel marzo 2025, è il momento giusto per fare a sé stessi una domanda cruciale. Non fra un anno o due: dovete farvela oggi stesso. La domanda è questa (immagine sotto): Trump ha detto a noi europei (ed al resto del Mondo) che “non può più fare affidamento su di noi” attraverso le tariffe. Che cosa accade adesso sui mercati finanziaria globali, non appena che arriva (ed arriva, possiamo esserne certi) dalla Federal Reserve un messaggio identico?

In questo mese, molti investitori si sentono storditi e confusi. Non c'è da stupirsi: mentre il governo degli Stati Uniti flirta con un altro shutdown e il presidente Donald Trump intensifica la sua guerra commerciale, gli indici di incertezza economica sono saliti alle stelle, superando persino la pandemia del 2020 o la crisi finanziaria globale del 2008.

Ma l'incertezza potrebbe peggiorare. Perché in mezzo a tutti gli shock tariffari, aleggia un'altra domanda: l'assalto di Trump al libero scambio potrebbe portare anche ad attacchi ai liberi flussi di capitale? I dazi sulle merci potrebbero essere un preludio ai dazi sul denaro?

Fino a poco tempo fa, l'idea sarebbe sembrata folle. Dopotutto, la maggior parte degli economisti occidentali ha da tempo considerato gli afflussi di capitale come una cosa positiva per l'America, poiché hanno contribuito a finanziare il suo debito nazionale e le sue attività commerciali da 36 trilioni di dollari. Ad esempio, Elon Musk, consigliere di Trump, ha beneficiato degli investimenti cinesi, alcuni dei quali sono privati.

Ma alcuni economisti anticonformisti, come Michael Pettis, hanno da tempo dissentito da questa visione ortodossa. Pettis vede questi afflussi di capitali non come "solo" l'inevitabile e benefico corollario del deficit commerciale americano, ma come una maledizione debilitante. Questo perché gli afflussi aumentano il valore del dollaro, favoriscono un'eccessiva finanziarizzazione e svuotano la base industriale americana, dice, il che significa che "il capitale è diventato la coda che scodinzola il cane del commercio", causando deficit.

Pettis vuole quindi dei freni, come le tasse. E sei anni fa, la senatrice democratica Tammy Baldwin e Josh Hawley, la sua controparte repubblicana, hanno emanato una proposta di legge del Congresso, il Competitive Dollar for Jobs and Prosperity Act, che chiedeva tasse sugli afflussi di capitali e una politica di dollaro debole della Federal Reserve.

La proposta di legge sembrava morta. Ma il mese scorso American Compass, un think-tank conservatore vicino al vicepresidente JD Vance, ha dichiarato che le tasse sugli afflussi di capitali potrebbero aumentare di 2 trilioni di dollari nel prossimo decennio. Poi la Casa Bianca ha emesso un ordine esecutivo "America First Investment Policy" che si impegnava a "rivedere se sospendere o terminare" un trattato del 1984 che, tra le altre cose, aveva rimosso una precedente tassa del 30 percento sugli afflussi di capitali cinesi.

Questo non ha fatto notizia, poiché Trump stava "inondando la zona" con altre distrazioni, in particolare sui dazi. Ma ha spaventato gli osservatori asiatici e probabilmente ha contribuito ai recenti cali del mercato azionario statunitense, poiché alcuni investitori sono fuggiti preventivamente.

In realtà, uno spostamento delle tasse potrebbe non verificarsi, o non riguardare nessuno se non i cinesi. Trump è (in)famosamente mutevole, il che rende difficile prevedere la politica futura, in particolare poiché il suo entourage è diviso in almeno tre fazioni in guerra: populisti nazionalisti (come Stephen Bannon), tecno-libertari (come Musk) e repubblicani del Congresso pro-Maga. Le ultime due fazioni potrebbero combattere i limiti al capitale, a causa delle preoccupazioni sulla destabilizzazione dei mercati del Tesoro.

Ma Trump è anche desideroso di usare tutti gli strumenti disponibili per rafforzare la sua influenza sulla scena mondiale. E le idee di Pettis sembrano essere influenti tra alcuni consiglieri, come il segretario al Tesoro Scott Bessent, Stephen Miran, il presidente del Council of Economic Advisers, e Vance.

Questo trio sembra intenzionato a ridisegnare il commercio e la finanza globali, tramite un presunto accordo di Mar-a-Lago, sebbene le loro ambizioni siano su una scala più grande dell'accordo di Plaza del 1985. Quest'ultimo ha "semplicemente" indebolito il dollaro tramite un intervento valutario congiunto, ma la visione di Miran di un accordo di Mar-a-Lago include anche una possibile ristrutturazione del debito statunitense, che costringerebbe alcuni detentori di titoli del Tesoro a scambiarli con obbligazioni perpetue.

Alcuni analisti finanziari ben inseriti, come Michael McNair, si aspettano anche di vedere un fondo sovrano, sostenuto dalle riserve auree americane, che acquisterebbe asset non in dollari per bilanciare gli afflussi di capitale (come, ad esempio, le risorse della Groenlandia). Una terza idea è quella di imporre tasse sugli afflussi di capitale in senso più ampio. Questo potrebbe diventare l'approccio preferito se l'idea degli swap del debito lascia le agenzie di rating minacciare di declassare il debito statunitense.

"L'obiettivo finale [del trio] non è una serie di accordi [commerciali] bilaterali, ma una ristrutturazione fondamentale delle regole che governano il commercio e la finanza globali [per rimuovere] i flussi di capitale distorti", afferma McNair. "Resta da vedere se questo approccio avrà successo, ma la strategia in sé è più coerente e di vasta portata di quanto la maggior parte degli osservatori riconosca".

Vorrei sottolineare che non sto sostenendo questa ipotesi, né prevedendo con certezza che accadrà davvero. E va notato che le teorie di Pettis provocano indignazione tra molti economisti tradizionali.

Ma Pettis non si pente. E i critici dovrebbero anche notare che il disegno di legge Baldwin-Hawley del 2019 non è stato solo applaudito da gruppi conservatori come American Compass, ma anche da alcune voci sindacali. Dal momento che ha un fascino populista, potrebbe ancora decollare.

In entrambi i casi, il punto chiave da capire è che sta emergendo un cambiamento nella filosofia economica che è potenzialmente tanto profondo quanto il ripensamento scatenato da John Maynard Keynes dopo la seconda guerra mondiale o quello spinto dai neoliberisti negli anni '80. Come ha recentemente detto Greg Jensen del fondo hedge Bridgewater, parafrasando Milton Friedman: "Siamo tutti mercantilisti ora". Non aspettatevi che ciò cambi presto.

gillian.tett@ft.com

Ed eccovi chiarito, grazie a questo articolo del Financial Times, il motivo del titolo che Recce’d ha dato a questo Post: si tratta, come avete capito, di una parafrasi, ovvero di una nostra modifica alla celeberrima frase di Milton Friedman. Nel 1965 Friedman disse (o meglio, si dice che abbia affermato) “siamo tutti keynesiani, oggi”. Poi, arrivarono gli Anni Settanta. E poi, gli Anni Ottanta. Ve ne abbiamo già scritto, in numerose occasioni.

Veniamo ad oggi. In Occidente, dopo la crisi finanziaria del 2007-2009, la paura portò i responsabili della politica e quelli dell’economia (le Banche Centrali) ad effettuare scelte spregiudicate, mal calcolate, molto azzardate, mai tentate prima e quindi dagli effetti imprevedibili.

Si trattò di scelte che oggi si rivelano dannosissime, e che si ispiravano ad una concezione statalista, se non socialista del funzionamento delle economie e dei mercati finanziari: si decise che “le perdite sono sulle spalle della collettività, ma i profitti sono e restano dei privati”.

Quelle scelte, oggi, si rivelano disastrose: ma la ricetta che è stata scelta per risolverle, come avete letto chiaramente, NON è quella di ridurre le interferenze che distorcono i mercati. Al contrario, tutti abbiamo preso la strada di maggiori interferenze, e di maggiori interventi diretti, di tutti gli Stati, nel funzionamento delle economie.

Come accade in Russia. Come accade in Cina.

Il fondo Bridgewater, come avete appena letto nell’articolo, ha scritto recentemente “siamo tutti mercantilisti ora”. Ma il Fondo Bridgewater, in questo caso, si sbaglia. Oggi “siamo tutti socialisti”, ovvero “statalisti”, ovvero “dirigisti”.

Il nostro suggerimento? Riflettete sulla frase di Milton Friedman, ma non prendetela alla lettera. Riflettete invece su quelle che erano, allora, le sue intenzioni. Quelle, le sue intenzioni di allora, vi saranno utilissime, anche oggi.

Nel suo libro del 1969, Carl Turner cita un articolo russo di I.G. Blyumin del 1947, riferendosi a quella che era già la "famosa osservazione".

La frase fu poi attribuita a Milton Friedman nell'edizione del 31 dicembre 1965 della rivista Time. (Sebbene generalmente attribuita a Friedman, l'economista Henry Hazlitt aveva usato in modo prominente quell'espressione un decennio prima in una rubrica del Newsweek). Nell'edizione del 4 febbraio 1966, Friedman scrisse una lettera in cui chiariva che la sua affermazione originale era stata "In un certo senso, ora siamo tutti keynesiani; in un altro, nessuno è più keynesiano".

L'espressione di Friedman era presumibilmente una replica all'affermazione del 1888 del politico britannico William Vernon Harcourt secondo cui "Siamo tutti socialisti ora"; una dichiarazione che è stata ristampata per un articolo di copertina della rivista Newsweek nel 2009.

Nel 1971, dopo aver ritirato gli Stati Uniti dal sistema di Bretton Woods,[9] Nixon è stato citato mentre diceva di essere "ora un keynesiano in economia", che è diventato popolarmente associato alla frase di Friedman.

Nel 2002, Peter Mandelson ha scritto un articolo sul The Times dichiarando "siamo tutti thatcheriani ora", riferendosi all'accettazione tra gli altri partiti politici delle politiche economiche di Margaret Thatcher.

La frase ha guadagnato nuova vita durante la crisi finanziaria del 2007-2008, quando gli economisti hanno chiesto massicci investimenti in infrastrutture e creazione di posti di lavoro come mezzo di stimolo economico.

Ed è proprio da lì, da quel momento drammatico (che tutti noi investitori ricordiamo alla perfezione) che è iniziata tutta questa storia: è da quel momento, ed è dalle scelte fatte in quel momento, che nascono i terribili problemi che oggi tutti siamo costretti a risolvere. Problemi che si risolvono soltanto con il Detox. Il Detox è già iniziato.

Valter Buffo
Detox: il rischio della crisi finanziaria

A leggere articoli come quello che segue (firmato da Ferruccio De Bortoli e pubblicato venerdì 21 marzo dal Corriere della Sera) si prova una sensazione di disagio: e non per l’ottimo contenuto, ovviamente.

Si prova disagio perché si è costretti a dubitare della propria lucidità. Si è costretti a domandare a sé stessi: ma tutto questo debito, tutta questa montagna di debito, di cui l’articolo denuncia la gravità, tutta questa massa di debito si è formata in sole quattro settimane?

Leggiamo insieme.



Il debito mondiale, dei governi e delle imprese, ha superato i 100 mila miliardi di dollari. L’85 per cento del Prodotto globale. Una percentuale che è il doppio del 2007. Certo, ci sono state nel frattempo alcune crisi, tra cui la pandemia. Costose e dimenticate. Il rapporto dell’Ocse, pubblicato ieri, riguarda 35 Paesi e si deve, in particolare, all’impegno del rappresentante italiano, Carmine Di Noia. L’organizzazione, che raggruppa i principali Paesi industriali e ha sede a Parigi, avverte che circa un terzo del debito mondiale scadrà nei prossimi tre anni. Il costo del rifinanziamento sarà decisamente più alto. Il tono del rapporto non è però particolarmente preoccupato. 

La sua diffusione segue la storica decisione tedesca di fare un’eccezione al freno costituzionale sul debito (ridotto grazie all’austerità degli scorsi anni e ai benefici dei tassi negativi) per finanziare investimenti soprattutto nella Difesa. Voto del Bundestag accolto con un rialzo dei rendimenti dei titoli tedeschi che ha trascinato all’insù il costo dell’indebitamento di tutta l’Eurozona

Al Tesoro italiano non è certo piaciuto. Il nostro debito è tra i più alti al mondo e la prudenza del ministro Giorgetti è del tutto giustificata. L’eccesso di liquidità è come l’acqua alta. Nasconde eventuali fragilità nazionali (la nostra per esempio). E riduce i tassi di default. Si fallisce di meno. I Paesi emergenti, si evince sempre dalla lettura del rapporto Ocse, faticano però ad accedere al mercato dei capitali internazionale, dal quale soprattutto gli Stati Uniti drenano le risorse necessarie per sostenere il loro gigantesco debito. 

Le nuove sfide, non soltanto sul tema della sicurezza ma anche e soprattutto sul versante della transizione energetica, richiedono grandi investimenti e nuovo debito. La lezione che si apprende dall’Ocse è che sarà sempre più importante, per la sostenibilità del debito, dimostrare di concentrare le spese in investimenti realmente produttivi. E colpisce che siano state molte le imprese private a non essere particolarmente sagge in questa direzione. Hanno premiato di più, con prestiti obbligazionari e acquisti di azioni, i propri assetati azionisti e manager, a discapito degli investimenti. Una piccola, significativa, tirata d’orecchi.

Le cose che scrive De Bortoli sono ovviamente scritte bene e soprattutto condivisibili.

Però.

Nel 2021, nel 2022, nel 2023, e nel 2024, di che cosa si occupavano, il De Bortoli ed il suo quotidiano? Di quali temi, di quali argomenti hanno sentito l’esigenza di scrivere con questi toni allarmati?

Perché, in quegli anni, non si trovava una sola riga, su questo tema del debito? I numeri, un anno fa o due, erano identici a quelli di oggi, nella sostanza.

Per quale ragione, in quegli anni, non stava sulle prime pagine di Repubblica, Il Sole 24 Ore, e Milano Finanza?

Per quale ragione, in quegli anni, il tema del debito non fu mai neppure accennato, da Fideuram e Mediolanum, da Banca Generali e da Allianz, da Fineco e da Azimut?

Forse, questo tema del debito non è importante, per i loro Clienti e per la stabilità del loro risparmio?

Non è quello che si ricava leggendo De Bortoli oggi.

Eppure, chi (come noi di Recce’d) ne scriveva nel 2021, nel 2022, nel 2023, e nel 2024, si sentiva rispondere che

  • il debito oggi non conta più

  • ogni problema di debito verrà risolto dalle Banche Centrali

  • chi parla di debito è un pessimista di professione

  • con il pessimismo non si va da nessuna parte

  • chi fa il pessimista vuole solo distinguersi per mettersi in evidenza

  • chi fa il pessimista sembra più intelligente, ma chi è ottimista diventa ricco (che va poi completata con: chi ripete frasi come questa è un povero fesso, the “greatest fool”).

Oggi però, come si legge sui quotidiani, le cose sono drammaticamente cambiate: ed infatti, sulla prima pagina del Corriere della Sera, si scrive di debito come di una cosa di grande importanza. Per tutti, ma ovviamente soprattutto per i risparmiatori e gli investitori, come noi.

Non è ancora “allarme debito”: ma è proprio lì, dove stiamo andando.

Di debito ha scritto, proprio ieri, anche un secondo quotidiano, il Giornale, che di fatto agisce da portavoce della coalizione politica che oggi governa l’Italia.

Vi facciamo leggere anche questo articolo, qui di seguito.


Criticare la Germania va bene, ma non equivale a santificare il nostro debito pubblico. La Germania ha votato per poter creare più debito pubblico da impiegare per la difesa, secondo il nuovo filone della politica di Bruxelles. Anzi, tanto per mettere le cose nel giusto ordine, è da Berlino che è partita l'inversione di rotta che poi la Commissione ha fatto sua. La filosofia precedente, ispirata dai verdi tedeschi ed eseguita dall'olandese Timmermans, ha asfaltato l'industria manifatturiera leader in Europa e con essa quelle che ne dipendono, ad esempio l'Italia, la cui produzione industriale è in calo da due anni. Avevano bisogno, la Germania e l'Europa tutta, di una ragione accettabile per dare benzina all'industria. Fortunatamente, è arrivata la doppia mossa americana, tanto avversata eppure tanto opportuna. Da un lato si è sfilata dal sostegno all'Ucraina, lasciando intendere che magari la strategia precedente fosse non dell'America tutta ma del suo presidente e forse del figlio, ma chissà? Questa mossa ha messo l'Europa in prima fila davanti alla guerra. Dall'altro, ha iniziato a minacciare sui contributi alla Nato. Il combinato disposto ha dato vita a un piano di spesa da 800 miliardi da decidere e realizzare in fretta, senza le solite lungaggini di Bruxelles, quasi che non aspettassero altro. Quindi, quell'industria che prima era da eliminare con le auto elettriche sull'altare della de-carbonizzazione adesso è da salvare con i carri armati diesel. Su quale altare? Beh, quello della pace, ovvio.

La Germania prima ha steso la Grecia, per un problema all'inizio di 30 miliardi, poi ci ha imposto la cura-Monti per abbassare lo spread che la Deutsche Bank aveva gonfiato e adesso si aggiusta le regole come le fa comodo. Insomma, se hai potere fai come ti pare.

Un'altra martellata al muro dell'ipocrisia, che ne sta ricevendo diverse in questi mesi e magari è la volta che viene giù. La questione di fondo è se il potere e il diritto vadano assieme, ovvero siano uno l'antagonista dell'altro. Tutti desideriamo che sia il diritto a tenere a bada il potere, i romani sostenevano il contrario, la storia passata e recente manda segnali almeno controversi. Il Vangelo, una delle opere umane di maggior saggezza, ha risolto la cosa dislocando il potere in Terra e il diritto nel Regno dei Cieli e quindi di sicuro non la risolviamo in queste poche righe.

Tornando dunque alle nostre miserie, quale che sia la sua filosofia la Germania ha un debito al 63% del Pil e molto inferiore anche in valore assoluto al nostro, che resta un fardello negativo e nocivo. Negativo perché il suo servizio assorbe decine di miliardi di euro sottratti alla spesa sociale e agli investimenti infrastrutturali.

Nocivo perché alimenta una spesa pubblica in buona parte inefficiente, che spreca risorse guadagnate a fatica dai contribuenti. Insomma, il debito è come la Nutella per i bambini: va dosata non perché ce n'è poca o lo dice la mamma, ma perché se ne mangi tanta sul momento sei felice e poi stai male.

La parte conclusiva è dedicata alla Nutella (divertentissima, ma poco centrata: oggi, noi risparmiatori, ed i mercati finanziari tutti,

ci facciamo il bagno, dentro la Nutella, ed dovremmo preoccuparci di non affogare).

Nutella a parte l’articolo in questione è poco o per nulla chiaro. Non si capisce che cosa voglia dire: hanno fatto bene, i tedeschi, a fare nuovo debito? Sarebbe una scelta nell’interesse di tutti? Oppure soltanto l’interesse di qualcuno? E per i risparmiatori, per chi oggi ha BTp nei portafogli, questa notizia è favorevole?

L’articolo in questione (al di là del solito, penoso, attacco alla Germania, che … avrebbe creato lei, la Germania, il debito italiano al 140% del PIL! incredibile leggere nel 2025 ancora simili sciocchezze!) non ci offre alcuna conclusione. Non si capisce che cosa voglia dirci.

Ma a noi ed ai lettori di Recce’d, non serve di capire questo articolo: c’è ben altro, per noi investitori, di cui occuparci.

L’articolo mantiene, tuttavia, una sua rilevanza, ed è per questo che noi vi abbiamo chiesto di leggerlo. La rilevanza dei due articolo dove sta? Sta nel fatto che solo 30 giorni fa, sia per il Giornale sia per il Corriere, oppure per il Sole 24 Ore e per Milano Finanza, il debito non era (assolutamente!) un tema da trattare. Tutto sotto controllo, in fondo non è così grande, e poi “risolve tutto la BCE”.

Oppure no?

Recce’d. con voi ha trattato del debito, delle sue dimensioni, e del suo peso sulle future condizioni economiche di ognuno di noi, con grandissimo anticipo, ed in decine di occasioni. Lo abbiamo fatto quando, per gli investitori, sarebbe stato importante, ed anzi decisivo, dedicare al debito più attenzioni.

Guardando soltanto al 2025, Recce’d ha trattato del tema scelto da De Bortoli e dal Giornale in numerose occasioni, tra le quali vi ricordiamo

  1. il Post datato 11 gennaio 2025, dove vi abbiamo anticipato che “la crisi finanziaria è già iniziata” (più di due mesi fa)

  2. il Post datato 9 febbraio 2025, dove vi abbiamo anticipato le considerazioni che oggi leggete sulle politiche di emissione dei Titoli di Stato USA

  3. il Post datato 22 febbraio 2025, dove vi abbiamo segnalato alcune possibili alternative alla vostra attuale asset allocation per affrontare con successo questa nuova fase dei mercati

  4. uno dei due Post datati 15 marzo, dove potete leggere le nostre valutazioni in merito alla profondità della crisi che è in corso

  5. un secondo Post datato 15 marzo, dove potete leggere dell’impatto della crisi sui vostri portafogli di investimento.


I mercati finanziari internazionali, fino a poche settimane fa, sembravano ignorare, intenzionalmente, questo argomento. Il problema del debito? Non è proprio il caso di perderci del tempo.

Attivamente aiutati, a mantenere questo atteggiamento negligente, dai media, dai quotidiani, dai TG e dai GR.

Aiutati, a fare finta che il debito non esistesse, dalla BCE e dalla Federal Reserve.

Supportati, giorno dopo giorno, in questa negligenza da banche come BNP Paribas, Morgan Stanley, JP Morgan, Goldman Sachs, UBS.

Insieme a Mediolanum e Fineco, e da Banca Generali e Allianz, e da Mediolanum e Fideuram, e da tutte le altre Reti di promotori finanziari.

Per tutti questi, non era proprio il caso di scrivere e parlare di debito.

E di crisi finanziaria? No, La crisi finanziaria non esiste, non si può neppure citare, non si deve proprio valutare. E’ assurdo. E’ fuori da ogni logica

E quindi, poi ripartiva la tarantella, quella che dice:

  • il debito oggi non conta più

  • ogni problema di debito verrà risolto dalle Banche Centrali

  • chi parla di debito è un pessimista di professione

  • con il pessimismo non si va da nessuna parte

  • chi fa il pessimista vuole solo distinguersi per mettersi in evidenza

  • chi fa il pessimista sembra più intelligente, ma chi è ottimista diventa ricco (che va poi completata con: chi ripete frasi come questa è un povero fesso, “the greatest fool”).

Poi, in un giorno di marzo 2025, qualcuno si rende finalmente conto dello stato della realtà: ed è il Ministro del Tesoro degli Stati Uniti.

Chi è allora il pessimista, adesso? Chi è il menagramo? E Bessent, lui, sarebbe quello che “sembra solo intelligente, ma non diventa ricco”?

Ci sarebbe da chiederselo: se non fosse che la risposta ce la hanno già data i fatti.

Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha detto domenica che l'amministrazione Trump è concentrata sulla prevenzione di una crisi finanziaria che potrebbe essere il risultato di una massiccia spesa pubblica negli ultimi anni.

"Quello che posso garantire è che avremmo avuto una crisi finanziaria. L'ho studiato, l'ho insegnato e se avessimo mantenuto questi livelli di spesa, tutto sarebbe stato insostenibile", ha detto Bessent a "Meet the Press" della NBC. "Stiamo ripristinando e stiamo mettendo le cose su un percorso sostenibile".

Il Presidente Donald Trump ha fatto della messa in ordine della casa fiscale del governo una priorità sin dal suo insediamento. Ha creato il cosiddetto Dipartimento per l'efficienza governativa, guidato da Elon Musk, per guidare i tagli al lavoro e gli incentivi al pensionamento anticipato in più agenzie federali.

Tuttavia, il problema del debito e del deficit degli Stati Uniti è peggiorato durante il primo mese di mandato di Trump, poiché il deficit di bilancio di febbraio ha superato la soglia di 1 trilione di dollari.

Bessent ha osservato che non ci sono "garanti" che non ci sarà una recessione. Il mercato è stato in un periodo tumultuoso ultimamente, poiché le tariffe diffuse di Trump hanno sollevato preoccupazioni sull'inflazione e il rallentamento economico. Giovedì l'S&P 500 è sceso in una correzione del 10% dal suo massimo di febbraio, mentre la volatilità è aumentata.

Bessent ritiene che ritiri come quello in cui si trova il mercato in questo momento siano benigni e che le politiche pro-business di Trump stimoleranno il mercato e l'economia nel lungo periodo.

"Sono nel settore degli investimenti da 35 anni e posso dirti che le correzioni sono sane. Sono normali", ha affermato. "Quello che non è sano è che si ottengono questi mercati euforici. È così che si ottiene una crisi finanziaria. Sarebbe stato molto più sano se qualcuno avesse messo i freni nel 2006, 2007. Non avremmo avuto i problemi nel 2008".

"Non sono preoccupato per i mercati. Nel lungo termine, se mettiamo in atto una buona politica fiscale, deregulation e sicurezza energetica, i mercati andranno alla grande", ha aggiunto Bessent. "Dico che una settimana non fa il mercato".

Il Segretario del Tesoro Scott Bessent non è preoccupato per il mercato azionario, ma non escluderebbe la possibilità che gli Stati Uniti possano entrare in recessione.

Bessent ha detto a NBC News Meet the Press domenica che le correzioni di mercato, il termine usato quando un indice è in calo del 10% rispetto al suo picco recente, sono "normali". L'S&P 500 è entrato in territorio di correzione la scorsa settimana e, sebbene abbia chiuso in rialzo venerdì, l'indice ha perso il 5,9% dall'insediamento del Presidente Donald Trump a gennaio.

"Quello che non è sano è che si ottengono questi mercati euforici. È così che si ottiene una crisi finanziaria",

ha detto Bessent a NBC. "Quindi, non sono preoccupato per i mercati. Nel lungo termine, se mettiamo in atto una buona politica fiscale, deregolamentazione e sicurezza energetica, i mercati andranno alla grande".

 

Un nuovo sondaggio della NBC afferma che gli elettori disapprovano le prime prestazioni lavorative di Trump, con il 54% che afferma di disapprovare la sua gestione dell'economia contro il 44% che ha affermato di approvarla. E il 55% ha affermato di disapprovare la gestione dell'inflazione e del costo della vita da parte di Trump, contro il 42% che ha affermato di approvarla.

 Le azioni stanno calando mentre la fiducia dei consumatori cala tra le preoccupazioni sugli effetti della guerra commerciale di Trump. David Rosenberg di Rosenberg Research ha definito la lettura di venerdì della fiducia dei consumatori del Michigan pari a 57,9 come la peggiore dalla crisi finanziaria.

 "Le aspettative su tutto, dal mercato azionario all'occupazione ai redditi, sono finite nel cassonetto e i timori per l'inflazione e i tassi di interesse si stanno agganciando in modo molto preoccupante", ha scritto Rosenberg venerdì. "Il settore delle famiglie, almeno in questo sondaggio, sta dando alla Casa Bianca un voto F per le sue politiche economiche in questi primi giorni. Forse è il momento di tornare al tavolo da disegno, ma l'ideologia non si lascia andare così facilmente".

Ma Bessent ha detto alla NBC News domenica che una settimana non fa il mercato. "Avremo una transizione e non avremo una crisi".

Ma alla domanda se potesse garantire che non ci sarebbe stata una recessione, Bessent ha risposto "non ci sono garanzie".

Voi, amici lettori, parole come queste dove le avete lette anche soltanto qualche settimana fa?

Qui, nel Blog di Recce’d. Questo è certo. E poi?

Le avete ascoltate dal vostro promotore finanziario? Dal consulente “pagato con le retrocessioni”? Le avete ascoltate dal vostro wealth manager? Dal family banker? Dal direct banker? Dal personal banker? Dal financial advisor?

Le avete lette da Morgan Stanley, da UBS, da BNP Paribas, da JP Morgan, da Goldman Sachs?

Le avete ascoltate dal giornale radio? Oppure al TG? Ne ha mai parlato uno solo degli intervistati su CNBC?

E perché? Amici lettori, vi siete chiesti la ragione di tutti questi silenzi? Soltanto noi, in Recce’d, ce ne eravamo resi conto? Vi pare possibile?

E voi, amici lettori: ve lo chiediamo in modo diretto, voi sulla base di che cosa fate, ed avete fatto, le vostre scelte di investimento? Sulla base di quali elementi, avete scelto la vostra asset allocation? Come avete deciso la vostra strategia presente e futura, per investire i vostri risparmi, ed evitare di perderli?

Se può esservi utile, noi anche oggi gratuitamente a tutti i nostri lettori forniamo una indicazione pratica, concreta.

Disorientati e confusi come siete oggi, siete alla ricerca di un punto di appiglio, di un ancoraggio per le vostre aspettative, di un punto di partenza per le vostre valutazioni.

Nessun aiuto vi viene fornito, in questa situazione, dal vostro financial advisor, dal vostro “promotore pagato a retrocessioni sui Fondi”, dal vostro private banker. Non è che lo fanno apposta, è che mancano i requisiti professionali, mancano le fondamenta. Loro, pensano a vedervi “la roba”.

Eccoci quindi qui, noi di Recce’d, pronti a supplire a questo deficit di professionalità, come in centinaia di precedenti ocacsioni.

Noi oggi 22 marzo 2025 vi diciamo questo: ci sono poche, pochissime cose oggi che contano davvero, che hanno la forza di dare una direzione ai mercati finanziari, alle Borse, ai Titoli di Stato, ai BTp, al cambio tra dollaro ed euro.

Tra queste poche cose che contano, attenzione, NON ci sono le tariffe, e NON c’è il destino dell’Ucraina, e NON c’è il Risiko delle banche, e NON c’è la spesa militare. per la gestione di un qualsiasi portafoglio, oggi nel marzo del 2025 queste cose contano zero. tanto quanto esattamente tre anni fa, contavano “il petrolio a 200$ ed il crollo della Russia”.

Come già vi avevamo anticipato, oggi c’è ragione di fare grande attenzione: sui mercati finanziari, le cose accadono sempre allo stesso modo, ovvero “prima niente niente, e poi tutto insieme all’improvviso”.

Proprio come accade in altri ambito, come ad esempio l’Ucraina, la NATO, la spesa bellica in Germania.

Fate grande attenzione, amici lettori, e non fate fare al vostro portafoglio titoli la fine di Zelenskyy. Voi non avete di certo vinto la battaglia, ma cercate soprattutto di non perdere la guerra.

Per evitare di perdere la guerra, come dicevamo, è indispensabile fare le proprie scelte guardando alle poche cose che contano davvero.

Una (ce ne sono alcune altre) è quella che viene ben descritta nell’articolo che segue. Dove abbiamo evidenziato le due frasi cruciali. Va detto, per amore di verità, che si tratta di cose che noi abbiamo già messo in evidenza qui nel Blog, nel 2022, e poi nel 2023, e poi nel 2024. E’ il cambio di paradigma. E’ questo, che Bessent ci racconta, ciò che Recce’d ha definito “la Nuova Era” dei mercati finanziari. Appunto, nel 2022.

Quindi, vi abbiamo dato lo spunto iniziale: quello decisivo. E quindi, buon lavoro, e buona fortuna. E se ritenete possa risultarvi utile, contattateci alla pagina CONTATTI del nostro sito.


Prima di entrare in carica, lui e alcuni altri consiglieri economici di Donald Trump hanno criticato la gestione del mercato dei Treasury da parte della sua predecessora Janet Yellen. Yellen aveva spostato il mix di emissioni di Treasury verso titoli a breve termine e lontano dalle obbligazioni a lungo termine. Si trattava di "quantitative easing con un altro nome", hanno affermato i critici.

In un documento ampiamente diffuso, il presidente entrante del Council of Economic Advisers Stephen Miran ha sostenuto che l'emissione di più titoli del Tesoro a breve termine abbassa artificialmente i rendimenti a lungo termine, consentendo al governo di accumulare deficit maggiori e stimolare l'economia senza spaventare i detentori di obbligazioni.

Ma a due mesi dal suo mandato, Bessent sta facendo esattamente ciò che ha fatto Yellen. In una recente intervista, ha affermato che avrebbe mantenuto la propensione verso i titoli e che i cambiamenti nella scadenza del profilo del debito sarebbero stati "dipendenti dal percorso". In effetti, sta raddoppiando. Le proiezioni del Tesoro prevedono che il dipartimento mantenga la quantità in dollari di debito a lungo termine di Yellen in futuro, piuttosto che solo la quota di emissione, anche se si prevede che il debito crescerà.

"Proporzionalmente, emetterà ancora meno debito a lungo termine di Yellen", afferma Darrell Duffie della Stanford Graduate School of Business.

Ci sono due interpretazioni della decisione di Bessent.

  • La prima è che emettere una quota maggiore di debito a breve termine non è mai stato un grosso problema, come molti hanno sostenuto.

  • La seconda è che le sue critiche a Yellen erano valide, ma Bessent ora è sottoposto alle stesse pressioni di cui era sottoposta lei. È probabile che l'amministrazione Trump dovrà espandere i prestiti quest'anno per pagare i tagli fiscali. Bessent potrebbe voler usare la strategia di Yellen per mantenere calmo il mercato mentre ciò accade.

Ma qui c'è tensione. Gli investitori sono preoccupati per l'entità del deficit, che è aumentato rapidamente mentre i pagamenti degli interessi sono aumentati a dismisura.

Se il deficit non scende, o se l'inflazione torna a salire per qualche altro motivo, è possibile un trend secolare di rendimenti crescenti dei Treasury.

In effetti, questo è ciò che molti analisti si aspettano, non solo per gli Stati Uniti ma per la maggior parte delle nazioni ricche. Se così fosse, il Tesoro si pentirebbe di non aver emesso più debito a lungo termine ai tassi odierni. E c'è uno scenario potenzialmente peggiore. Se ci fosse una situazione di stallo politico sulla politica fiscale o gli acquirenti di obbligazioni si opponessero ai piani fiscali di Trump (qualcuno ha detto vigilante?), potrebbe esserci un forte aumento dei rendimenti obbligazionari. Ciò potrebbe accadere proprio perché il Tesoro ha bisogno di emettere debito rapidamente per evitare il default.

Se così fosse, si troverebbero ad affrontare costi di prestito ancora più elevati.

In sintesi, se credi che Yellen e Bessent abbiano fatto "QE con altri mezzi", credi che abbiano mantenuto i rendimenti più bassi nel breve termine, a costo di non bloccare un finanziamento stabile a lungo termine a quelli che potrebbero rivelarsi tassi interessanti. È possibile che Bessent abbia già le mani legate. Se dovesse passare a emissioni a lungo termine, il mercato potrebbe ribellarsi: gli investitori stanno attualmente fuggendo dalla duration.

Anche Bessent sta lavorando sotto pressione temporale. Il Tesoro sta rapidamente bruciando il suo conto presso la Fed, che potrebbe esaurirsi quest'estate. Ma finché il tetto del debito non verrà sollevato o sospeso, non potrà essere emesso nuovo debito. Ciò significa che una volta superato il tetto, dovranno seguire molte nuove emissioni. Questa sarebbe una buona opportunità per estendere il profilo di scadenza del debito nazionale, se il mercato lo tollererà.

Valter Buffo
Hard landing: per i Clienti delle Reti di promotori
 

La peggiore settimana del mercato azionario di New York dal 2023.

Abbiamo toccato i 5500 punti.

Che sta succedendo?

Come abbiamo già scritto, nel Post pubblicato proprio prima di questo che ora leggete, il Presidente americano Trump, lui ha capito. Ed ha anche agito di conseguenza.

Prima di voi, ha capito.

Prima di Goldman Sachs, di UBS, di JP Morgan e di Blackrock, di BNP Paribas. E quindi di Mediolanum, di Fineco, di Fideuram, dell’esercito dei promotori finanziari pagati con le retrocessioni sui Fondi Comuni e le GPM.

Trump ha capito: ed ha anche deciso che a lui, il Presidente, importa nulla delle JP Morgan, delle Goldman Sachs, delle varie UBS e BNP Paribas, e Blackrock e Amundi del Pianeta.

Perché lui, Trump, ha ben compreso che tutte quelle persone, così come le Fideuram e le Fineco, le Mediolanum e le Generali e le Allianz, hanno perso il contatto con la realtà.

Ma pure, hanno del tutto perso il controllo del loro stesso business.

Sono il passato.

Trump lo ha capito prima di loro. Sta scritto qui sotto nell’immagine.



Ma leggere questa immagine, oggi a che serve?

Ormai, questa storia la raccontano i fatti.

La gestione del risparmio non guarda all’oggi: la gestione del risparmio sta nel fare ieri, oppure l’altro ieri, tutte le scelte che vanno fatte per guadagnare oggi.

Nella gestione del risparmio, fare le scelte oggi su ciò che accede oggi è fallimentare.

Oggi, le scelte di portafoglio devono essere fatte su ciò che accadrà domani, e dopodomani.

Non sarà che, per caso, a voi serve un consulente per impiegare con successo e risultati i vostri risparmi?

Non sarà che, a voi invece non serve qualcuno che vi vende cose?

Cose come Fondi Comuni di Investimento, GPM, Certificati, polizze assicurative: non sarà che, a voi, non servono, per nulla?

Non sarà poi che un “consulente” non fa di mestiere il venditore porta-a-porta?

Non sarà magari che il consulente, se davvero è un consulente, a voi deve anticipare situazioni come questa di oggi? Sempre che sia davvero un consulente, e non un venditore?

Facciamo alcuni esempi molto pratici, e molto concreti.

Voi dove eravate, quando nel 2022 Recce’d scriveva e spiegava queste cose, che leggete nell’immagine?

Per voi, avevano “nessuna importanza”. Voi eravate occupati a seguire “quello che fa Tesla”, che era sempre in prima pagina sui quotidiani.

“L’uomo più ricco del Mondo”, come raccontavano tutti i financial advisors ed i promotori finanziaroi. Eccitatissimi.


Voi dove eravate, quando nel 2022 Recce’d scriveva e spiegava queste cose?

Forse voi vi siete fatti influenzare, e per tre anni, da quelli che spiegavano che “il debito ormai non conta più nulla”. Come viene raccontato ancora oggi, un po’ da tutti, al Salone del Risparmio di Milano.


Voi dove eravate, quando nel 2022 Recce’d scriveva e spiegava queste cose?

Forse voi eravate occupati a leggere in quell’anno 2022 che “il petrolio non può che salire fino a 200$: me lo ha scritto un amico in chat, e poi lo ho anche letto nella mia community, e poi sta scritto anche sui canali social, dove c’era uno ieri che urlava come un ossesso”. Vero che è così?

Voi dove eravate nel 2022, quando Recce’d metteva in evidenza questi dati?

Voi eravate concentrati sui Magnifici Sette: “i soldi oggi si fanno coi Magnifici Sette”, dicevano tutti alla Gintoneria di Milano, durante alcune divertentissime serate di baldoria.

In quelle medesime ore, noi di Recce’d via avevamo detto: “si deve stare sempre concentrati sulla realtà. Concentrati sull’economia reale”.

Proprio come dice oggi Scott Bessent.

Voi dove eravate, quando nel 2022 Recce’d scriveva e spiegava queste cose?

Forse voi eravate occupati a seguire “la nuova riserva di valore assoluta, il Bitcoin che protegge il valore contro il debasement del dollaro USA”. Anche questo, stava scritto “sui social”. Il “debasement”, dicevano allora: ieri il dollaro USA scambiava a 1,0850 conto euro.

Voi dove eravate, quando Recce’d scriveva di mercati finanziari “distorti, dopati, drogati ed intossicati”?

Voi, che cosa stavate facendo, quando Recce’d ripeteva che sarebbe stato inevitabile, un periodo di disintossicazione? Di detox?

Quando Recce’d scriveva, anche qui nel Blog, che “ci sarà un generale re-pricing, di tutti gli asset finanziari”?

Ed operava in modo conseguente sui portafogli modello?

Forse, voi allora eravate abbagliati davanti al rialzo di Nvidia, come storditi di fronte ai siti Web, ai siti di “fai-da-te”, alle chat ed ai social.

Oggi, voi che cosa state facendo?

Anche voi la pensate come il Ministro del Tesoro americano, a proposito dei vostri risparmi?

Voi volete “un periodo di sofferenza” per andare, dopo, verso traguardi più alti?

E’ questo, che voi volete, che voi desiderate, per il vostro risparmio?

E i dati, almeno quelli, li leggete? E fate l’analisi di questi dati? Chi ve la fa?

Oppure aveste preso la vostra residenza su una nuvola?

Avete già perso tempo. Avete già perso soldi. State per perdere ancora altri soldi.

Non sarà, per davvero, che a voi serve un consulente?

Capace di spiegarvi, come minimo, la rapidissima svolta degli indici che avete visto più sopra?

La serie di dati della settimana scorsa, che leggete sopra nell’immagine?

Capace quanto meno di illustrarvi, in modo specifico e concreto, la catena degli eventi come la potete leggere qui sotto?

Da lunedì anche questo lo trovate, ogni mattina, in The Morning Brief.

Non vi servirebbe, forse, un autentico consulente? Un consulente vero?

Che, come minimo, vi spieghi l’impatto sui mercati finanziari dei nuovi dati pubblicati ogni giorno?

Come minimo: perché questo è proprio il minimo, se voi siete interessati a comprendere (come minimo) che cosa sta accadendo al vostro risparmio.

Un consulente capace, come minimo, di parlare con voi di quanto oggi leggete nelle immagini qui sopra? Ma non oggi: no. Che con voi ne parli prima-, quando a voi serve davvero.

Capace di parlarne con voi nel momento in cui, al TG, sui quotidiani, nei social, nelle chat, nelle community, e nelle Reti di promotori finanziari, si parla soltanto di petrolio a 200$, e poi di Nvidia, e poi di Bitcoin, e poi di Tesla, e poi di Fondi Comuni ESG, e di tagli dei tassi ufficiali, e di obbligazioni “destinate a salire per anni ed anni” e di “inflazione transitoria” e del “soft landing, che ormai è una certezza” almeno secondo Goldman Sachs e JP Morgan e compagnia di burattini?

Intanto però, Putin invade l’Ucraina. E dopo tre anni, vince la guerra. Questo, non ve lo avevano detto.

A voi, sono proprio così simpatici, quelli che cercano di farvi fessi?

Non sarà poi che al vostro fianco serve un vero consulente?

Valter Buffo