Detox. Quanto fa 2000 + 2008? Potrebbe fare 1500? (prima parte)
 

Vi hanno già raccontato quella del “rally di Fine Anno?”.

Oppure quella del “rally di Natale?”.

Aprite gli occhi: Babbo Natale non esiste, quelle storielle vanno bene per i bambini, e prima delle Scuole Elementari!

Avete letto il nostro Post di sette giorni fa?

No?

Beh, fareste bene a rileggerlo, con attenzione: perché vi serve.

Dunque, sette giorni fa noi avevamo scelto di aprire il nostro Post con una immagine.

Oggi, proprio qui sopra, potete vedere l’immagine sorella. L’immagine è di ieri. La fonte da cui noi la abbiamo tratta è la medesima di sette giorni fa..

Con questa immagine (come già abbiamo fatto la settimana scorsa) noi di Recce’d vi informiamo di ciò che dicono in giro oggi gli “ottimisti 2025” (dei quali Recce’d NON fa parte) (come allo stesso modo, Recce’d NON fa parte dei “pessimisti 2025”.

Dopo sette giorni di mercato, adesso che cosa ci dicono gli ottimisti?

Traduciamo il testo di questa immagine, che è di ieri 14 novembre 2025, ed era stato scritto all’apertura delle Borse americane (S&P 500 -1,6%, e Nasdaq -2%), Borse che poi verso la chiusura hanno recuperato verso i livelli della chiusura di giovedì 13 novembre..

È un altro di quei giorni:

Tutte le classi di attività sono in forte ribasso oggi.

E i tentativi di rally di sollievo intraday vengono venduti a nuovi minimi; una correzione "emotiva" da manuale.

Questo è diventato un evento sempre più comune nel 2025, in particolare tra livelli record di leva finanziaria e l'ipersensibilità del mercato ai titoli.

Tuttavia, se si allarga lo sguardo, la tesi fondamentale non è cambiata.

La spesa in deficit è alle stelle, le spese in conto capitale dell'Al si avvicinano a 1.000 miliardi di dollari all'anno e la Fed DEVE tagliare i tassi al 3% di inflazione a causa del deterioramento del mercato del lavoro.

L'S&P 500 a 7.000 è all'orizzonte.

In questa nota, la frase forte è “i fondamentali restano i medesimi”.

E quindi, la conclusione sarà la medesima della scorsa settimana: non date ascolto al “rumore”, al “noise”: e andate dietro a chi, come noi, vi indica i “fondamentali”.

Non stiamo a tradurre anche questa seconda immagine di oggi: si riesce a capire, anche solo con l’intuito. E’ un messaggio molto semplice.

Dopo avere letto questo messaggio, tutto sta, per tutti noi investitori, nell’analizzare il testo: e capire se i “fondamentali” sono proprio e soltanto quelli che questo testo vi e ci indica.

E precisamente

  • il deficit dello Stato alle stelle

  • i forti investimento delle Aziende Tech nel comparto della AI

  • i tagli dei tassi della Federal Reserve

A vostro giudizio, amici lettori, sono questi i “fondamentali” oggi?

Sono i fondamentali che per il vostro portafoglio hanno una influenza decisiva, per la performance a 3 e a 6 e a 12 mesi?

E soprattutto, amici lettori: questi tre “fondamentali” sono per il vostro portafoglio positivi, oppure negativi? Faranno salire, in futuro, i prezzi dei vostri asset? Dei vostri Fondi Comuni di Investimento? Delle vostre polizze Vita e UNIT - linked?

E il “noise”, il rumore”? Che cosa è il “noise” in questo contesto, e in questi messaggi degli “ottimisti 2025”?

Il noise sarebbe questa roba qui che leggete sotto nell’immagine. Ovvero, cali in Borsa, crollo delle crypto e dati sull’economia che, molto semplicemente, NON vengono comunicati al Mondo e soprattutto agli investitori per decisione … di chi non si sa precisamente ( quindi, la domanda diventa “ma di che cosa stiamo parlando, poi?”).

Del Bitcoin, abbiamo già scritto ieri alla pagina TWIT - TWOO. Non è un argomento stimolante a nostro giudizio, e non necessita di approfondimenti particolari: tutto è chiaro e tutto è semplice.

E poi, le cryptovalute stavano, stanno e resteranno FUORI dal universo investibile di Recce’d. Non ci interessano. Abbiamo tante, tantissime altre cose da inserire nei portafogli modello, senza andarci a cercare storiacce come questa.

Lasciamo pertanto il Bitcoin al suo destino.

E torniamo invece al messaggio lanciato più sopra dagli “ottimisti”. Voi amici lettori ci avete ragionato a sufficienza?

Avete fatto la vostra analisi, accurata, precisa, di qualità?

Il vostro financial advisor, il vostro cosiddetto “consulente” che a voi vende i prodotti finanziari, il vostro private/family/personal banker, il vostro wealth manager vi sta aiutando a comprendere meglio?

Oppure, lui, il venditore, a voi vende solo le cose, ma non vi aiuta a capire nulla?

Come siete piazzati oggi con i vostri investimenti? Il vostro risparmio è esposto poco oppure molto ad eventi come questi?

Siete confusi? Per venire in vostro aiuto, ora vi facciamo un esempio molto concreto, e rileggiamo con voi i fatti degli ultimi 15 giorni: dopo i ribassi della settimana precedente, nella settimana che si è appena conclusa gli ottimisti … ci hanno provato, e con energia: lunedì, e martedì, e con meno forza mercoledì. Il giochetto si è però interrotto giovedì. E venerdì poi c’è stato caos.

Vediamo allora di illustrare, al nostro lettore, che cosa c’è che non funziona, che si rompe, che è fragile negli argomenti degli “ottimisti 2025”. In questo modo, noi vi aiuteremo a comprendere meglio: insomma, noi vi regaliamo con il Post un lavoro di supplenza.

La supplenza di cui necessita il vostro “consulente che viene pagato con le retrocessioni sui prodotti finanziari”, quello che vi vende i prodotti finanziari di Mediolanum, di Fineco, di Fideuram, di Allianz, di generali e di tutte le altre Reti di vendita operanti in Italia (prodotti che a voi non servono, assolutamente a nulla).

Grazie a questa nostra supplenza gratuita, potrete fare scelte più consapevoli in merito al futuro del vostro risparmio.

Ora entriamo nel merito: inizia quindi la nostra supplenza.

Dunque, vediamo: sicuramente siete stati informati che nel 2025 tutti i rialzi degli indici di tutte le Borse del Mondo vengono spiegati con riferimento ad un unico fattore. Uno solo.

Questo fattore NON è

  • il miglioramento delle condizioni economiche generali (che non c’è)

  • il miglioramento degli utili delle Soeictà quotate (del quale diremo più avanti)

  • il beneficio delle nuove tariffe (che è minuscolo)

  • il miglioramento della fiducia dei consumatori (che non esiste)

  • il futuro taglio dei tassi ufficiali (che non arriverà più)

  • la riduzione dei rischi internazionali (che sono letteralmente esplosi)

Nulla di tutto questo.

Il rialzo degli indici di Borsa, nel 2025 è spiegato unicamente dal fattore “investimenti in AU”. Investimenti: ovvero denaro che viene speso in qualche cosa che, un domani (un domani che nessuno conosce, e che nessuno neppure si azzarda di stimare) produrrà “utili enormi”.

Investimenti che però, allo stato, sono soltanto soldi che vengono spesi. Soldi che escono. Non sono soldi incassati.

Applicazioni di AI, che generano utili, al novembre del 2025 non se ne conoscono.

Zero.

Oggi la massa va in delirio (oltre che per i cantanti tatuati da ogni parte) soprattutto per la “corsa agli investimenti”: che, lo ripetiamo, è un aumento della spesa.

La domanda che viene immediata è la seguente: “da dove li prendono, questi denari che vengono spesi per la corsa agli investimenti?”.

Per necessità di sintesi, risponderemo in questo Post con un grafico, ripromettendoci poi di ritornare su questo tema specifico.

Nel frattempo, se interessati, potrete leggerlo sul nostro quotidiano The Morning Brief (se siete già Clienti di Recce’d)

Quale è il problema?

Il problema è che il tutto ha dimensioni impressionanti. Anzi, mai viste prima. Ed è proprio per questo, che ha il peso e la forza per influenzare l’intera economia globale.

L’influenza sull’economia reale si esercita ovviamente attraverso i mercati dei capitali: perché i denari per finanziare la “corsa all’investimento” vanno raccolti. E qui entrano in scena le banche globali di investimento, le quali (con entusiasmo) devono piazzare alla Clientela finale questa enorme massa di nuovo debito. Noi ne riparleremo anche in un prossimo Post.

Un secondo canale di influenza è l’utilizzo dell’energia necessaria per alimentare i server sui quali lavora la Intelligenza Artificiale. Anche di questo, siamo costretti a rimandare il nostro approfondimento per il pubblico ad un Post successivo.

Sempre che non vogliate ricevere il nostro quotidiano The Morning Brief: ed è semplice, sarà sufficiente andare alla pagina CONTATTI del nostro sito.


Queste ricadute sull’economia globale potrebbero assumere caratteri non positivi, sia per le economie sia per i mercati finanziari: su questo proprio ieri ha scritto il settimanale The Economist.

Abbiamo analizzato, selezionato, e poi tradotto per voi l’analisi di The Economist. La quale poi ci porta alcune osservazioni molto interessanti proprio a proposito della gestione del portafoglio titoli, ovvero dell’attività alla quale noi di Recce’d dedichiamo il nostro quotidiano lavoro, impegno ed attenzione.

SE il mercato azionario americano dovesse crollare, si tratterebbe di una delle implosioni finanziarie più previste della storia.

Tutti, dai dirigenti bancari al Fondo Monetario Internazionale, hanno lanciato l'allarme sulle valutazioni stratosferiche delle aziende tecnologiche statunitensi. I banchieri centrali si stanno preparando a difficoltà finanziarie; gli investitori che si sono fatti un nome scommettendo contro i mutui subprime nel periodo 2007-2009 sono riemersi per un altro "grande short".

Al minimo segnale di oscillazione, come un recente leggero calo settimanale dell'indice Nasdaq dei titoli tecnologici, aumentano le speculazioni sul fatto che il mercato sia sull'orlo del baratro.

E non c'è da stupirsi. Il rapporto prezzo/utili corretto per il ciclo economico dell'indice azionario S&P 500, sostenuto dai "Magnifici Sette" giganti della tecnologia, ha raggiunto livelli visti l'ultima volta durante il boom delle dot-com. Gli investitori scommettono che l'enorme investimento nell'intelligenza artificiale (IA) darà i suoi frutti.

Ma i numeri sono scoraggianti. Affinché le aziende raggiungano un rendimento del 10% sugli investimenti in intelligenza artificiale previsti entro il 2030, avranno bisogno collettivamente di 650 miliardi di dollari di ricavi annuali derivanti dall'intelligenza artificiale, equivalenti a oltre 400 dollari all'anno per ogni utente di iPhone, secondo la banca JPMorgan Chase.

La storia dimostra che aspettative così elevate vengono spesso deluse, inizialmente, dalle nuove tecnologie, anche se poi cambiano il mondo.

Eppure, sebbene un crollo del mercato non sorprenderebbe quasi nessuno, pochi hanno pensato alle sue conseguenze.

Questo in parte perché le probabilità che un forte crollo dei mercati azionari provochi una crisi finanziaria su larga scala sono, per ora, scarse.

A differenza della fine degli anni 2000, quando la leva finanziaria diffusa e la complessa ingegneria finanziaria contribuirono a causare una bolla alimentata dal debito nel settore immobiliare subprime, l'euforia odierna per l'intelligenza artificiale è stata finanziata principalmente dal capitale azionario. Inoltre, negli ultimi anni l'economia reale ha dimostrato di saper resistere straordinariamente bene agli shock, dalla crisi energetica europea ai dazi americani. Le recessioni sono eventi sempre più rari.

Tuttavia, sarebbe un errore pensare che l'effetto delle ingenti perdite del mercato azionario si limiti ai portafogli degli investitori. Più a lungo dura il boom, più opaco diventa il suo finanziamento. E anche senza un Armageddon finanziario, un crollo drammatico del mercato azionario potrebbe finalmente far precipitare un'economia mondiale finora resiliente in una recessione.

Si prevede che la spesa globale per l'intelligenza artificiale raggiungerà i 375 miliardi di dollari nel 2025 e i 500 miliardi di dollari entro il 2026, alimentando la crescita del PIL statunitense e l'ottimismo del mercato. Nella prima metà del 2025, le spese in conto capitale legate all'intelligenza artificiale hanno contribuito per l'1,1% alla crescita del PIL, superando il consumo statunitense come motore di espansione.

Il boom dell'intelligenza artificiale è il contrappeso economico degli Stati Uniti

"Una è una bolla delle criptovalute, la seconda una bolla dell'intelligenza artificiale e la terza una bolla del debito", afferma il presidente del WEF Borge Brende.

Il direttore del World Economic Forum mette in guardia da tre possibili "bolle" nell'economia globale

È improbabile che un crollo del mercato oggi si traduca nella breve e relativamente benigna recessione economica seguita alla crisi delle dot-com. Ora c'è molta più ricchezza in gioco, e molto meno margine di manovra politico per attutire il colpo di una correzione.

La radice della vulnerabilità è il consumatore americano. Le azioni rappresentano il 21% della ricchezza delle famiglie del Paese. Gli asset legati all'intelligenza artificiale sono responsabili di quasi la metà dell'aumento della ricchezza degli americani nell'ultimo anno.

Con l'aumento della ricchezza delle famiglie, queste si sono abituate a risparmiare meno di quanto facessero prima della pandemia di Covid-19 (anche se non così poco come durante il boom dei mutui subprime).

Un crollo invertirebbe queste tendenze. Calcoliamo che un calo delle azioni paragonabile a quello della crisi delle dot-com ridurrebbe il patrimonio netto delle famiglie statunitensi dell'8%. Ciò potrebbe causare una forte contrazione della spesa al consumo.

Secondo una regola empirica, il calo ammonterebbe all'1,6% del prodotto interno lordo, sufficiente a spingere gli Stati Uniti, dove il mercato del lavoro è già in difficoltà, in recessione. L'effetto sui consumatori sarebbe di gran lunga superiore a quello probabile di un eventuale calo degli investimenti nell'intelligenza artificiale, gran parte dei quali destinati a chip importati da Taiwan.

Lo shock e la debolezza della domanda americana si riverserebbero sull'Europa a bassa crescita e sulla Cina in deflazione, aggravando il colpo subito dagli esportatori dai dazi del presidente statunitense Donald Trump. E poiché gli stranieri hanno un'esposizione di 18.000 miliardi di dollari alle azioni americane, si verificherebbe un effetto mini-ricchezza a livello globale.

La buona notizia è che una recessione globale con le sue radici nei mercati azionari non deve essere necessariamente profonda, proprio come la recessione seguita al crollo delle dot-com è stata superficiale ed è stata evitata da molte grandi economie.

È importante sottolineare che la Federal Reserve ha abbastanza margine di manovra per abbassare i tassi di interesse e stimolare la domanda, e alcuni paesi risponderebbero con stimoli fiscali. Tuttavia, una recessione metterebbe a nudo le vulnerabilità dell'attuale panorama economico e geopolitico, indebolendo ulteriormente l'egemonia americana, indebolendo i bilanci pubblici e aggravando gli istinti protezionistici.

Senza il boom dell'intelligenza artificiale, l'economia statunitense si troverebbe nella situazione di questa primavera: rafforzati i dazi, istituzioni sotto assedio e una politica sempre più litigiosa (mentre pubblicavamo questo articolo, la più lunga chiusura governativa di sempre negli Stati Uniti stava appena per concludersi).

In una recessione, gli Stati Uniti sarebbero solitamente un rifugio sicuro. Ma in queste circostanze – e con gli Stati Uniti che hanno subito il peggior declassamento della crescita – una corsa al dollaro, che quest'anno è in calo dell'8%, non sarebbe assicurata.

Sebbene un dollaro statunitense più debole sarebbe una benedizione per il resto del mondo, per il quale un dollaro più caro inasprisce le condizioni finanziarie, rafforzerebbe l'idea che l'eccezionalismo americano non sia più quello di una volta. Il rischio per il dollaro sarebbe particolarmente elevato, dato che il 2026 potrebbe portare a un'influenza politica molto maggiore sulla Federal Reserve.

Una recessione metterebbe inoltre a dura prova i governi indebitati di tutto il mondo. Le banche centrali taglierebbero i tassi di interesse, alleggerendo i costi del servizio dell'enorme debito pubblico del mondo ricco, che vale il 110% del suo PIL. Ma anche i deficit si amplierebbero, con l'aumento della spesa sociale e la diminuzione delle entrate fiscali.

Nelle economie più vulnerabili, i timori fiscali potrebbero far sì che i rendimenti obbligazionari a lungo termine rimangano stabili o addirittura aumentino, con le banche centrali che tagliano i tassi a breve termine – una dinamica che si è manifestata occasionalmente negli ultimi due anni. È difficile immaginare che i mercati concedano a Francia o Gran Bretagna, ad esempio, molto spazio per gli stimoli.

La conseguenza finale riguarderebbe il commercio. Gli americani che spendono meno ridurrebbero quasi certamente il deficit commerciale, il che farebbe piacere a Trump. Con i mercati in cattive acque, anche la Casa Bianca sarebbe meno aggressiva sul commercio.

Ma l'altro punto critico del commercio globale – il surplus cinese di beni manifatturieri – peggiorerebbe. I produttori europei e asiatici devono già competere con un eccesso di beni cinesi, in crescita poiché la Cina esporta meno verso gli Stati Uniti. Un rallentamento in America causerebbe un ulteriore aumento di tale eccesso, acuendo la reazione protezionistica.

Il mondo ha già contemplato la possibilità di un crollo del mercato azionario statunitense, e da alcuni mesi. Ciò non significa che sia preparato alle conseguenze.

Dall’analisi generale dell’Economist ora però è opportuno ritornare ad un ambito più ristretto: la gestione del portafoglio titoli.

Ogni investitore, oggi, è chiamato ad esercitare le proprie competenze, e la propria capacità di giudizio, a proposito di realtà estreme, come è quella che vedete qui sotto nell’immagine.

Vi ricordiamo che la sigla CDS è il costo della protezione dal fallimento dell’emittente delle obbligazioni.

Ovviamente, a realtà estreme corrisponde poi una estrema fragilità dei mercati finanziari, che si manifesta in oscillazioni violente come quelle delle ultime due settimane, ed in episodi di autentica isteria, come è quello che ha riguardato il titolo azionario Oracle (del nasdaq) nell’ultimi mese, e che noi vi ricordiamo con l’immagine che segue (invitandoci, ovviamente, ad un approfondimento che farete con i vostri mezzi e le vostre relazioni).

Il fatto è significativo, e merita la vostra attenzione.

Ripetiamo che con la sigla CDS viene indicato il costo della protezione dal fallimento dell’emittente delle obbligazioni.

Fatti di mercato come quelli che abbiamo appena raccontato, ed estremi mai visti sia nelle valutazioni sia nella volatilità dei prezzi, hanno spinto tutti (dai media ai social alle banche di investimento) a chiamare in causa la “bolla di AI”.

Recce’d, negli ultimi mesi, sul tema della “bolla di AI” ha preso una posizione forte, che poi è stata assunta anche da altri soggetti (lo avete appena letto, nell’articolo di The Economist).

La nostra posizione è chiara: questo che tutti stiamo vivendo non è il 2000, e non è il 2008. E’ una cosa totalmente diversa.

Alla quale tutti gli investitori debbono reagire.

Nell’articolo di The Economist, sono state evidenziate alcune delle differenze che separano l’esperienza ed i mercati finanziari dell’anno 2000 a quella attuale.

Quanto al 2008, sottoponiamo all’attenzione del lettore una immagine ed un secondo contributo. Entrambi molto utili anche dal punto di vista pratico..

Il lettore potrà poi, con i propri messi e le proprie relazioni personali, approfondire e chiarisri le idee, su questo che è il punto cruciale.

Ovviamente, ogni lettore potrà anche contattare noi di Recce’d, utilizzando la nostra pagina contatti, ed accedere alle nostre analisi ed alle nostre indicazioni operative per i portafogli modello di Recce’d.

Data la necessità di sintesi in questo Pos, noi non aggiungeremo (per oggi) altri commenti.

Ci sentiamo però nel dovere di evidenziare un aspetto, che a noi risulta più importante di ogni altro: là dove si tocca il tema del sostegno finanziario ad AI da parte dei Governi.

Quello, oggi, è il tema che scotta.

Capito quell’aspetto della realtà, saprete come operare con successo sul vostro portafoglio titoli, e come fare rendere al massimo il vostro risparmio, in un contesto di generale trasformazione, un contesto che Recce’d nel 2022 chiamo la Nuova Era,.

Il contesto con riferimento al quale Recce’d gestisce i propri portafogli modello.

Prima della grande crisi finanziaria, la leggenda del mercato Jeff Saut, allora capo economista di Raymond James, scrisse qualcosa di importante e sottovalutato.

Notò che i crolli immobiliari erano storicamente innescati da problemi economici più ampi, come l'aumento della disoccupazione. Ma nel settembre 2007, Saut notò che la direzione causale stava cambiando: le enormi dimensioni del mercato immobiliare statunitense e la sua importanza sovralimentata per l'economia in generale facevano sì che il settore immobiliare stesso diventasse il motore dei problemi macroeconomici. Invece di reagire allo stress economico, il settore immobiliare stava iniziando a causarlo.

Causa ed effetto si erano invertiti.

Non posso fare a meno di pensare a questa dinamica quando osservo il mercato dell'intelligenza artificiale ora

Quasi ogni giorno esce un nuovo titolo su un'azienda di intelligenza artificiale che raccoglie capitali o pianifica investimenti importanti (tra i cento possibili esempi, scelgo è Anthropic che impegna 50 miliardi di dollari per la costruzione di data center negli Stati Uniti). La portata è sbalorditiva.

Il rapporto del Center for Public Enterprise menzionato sopra stima che Meta, Microsoft e Amazon dovrebbero investire oltre 350 miliardi di dollari in infrastrutture di intelligenza artificiale solo quest'anno, con spese ancora maggiori previste nei prossimi anni. L'impatto economico è già enorme e alimenta una crescita misurabile in tutta l'economia statunitense.

Il rapporto del CPE descrive gli investimenti nei data center come "il principale motore di crescita dell'economia statunitense",

stimando che gli investimenti in intelligenza artificiale rappresenteranno oltre il 40% della crescita del PIL statunitense nel 2025. Un economista citato nel rapporto afferma che la spesa in intelligenza artificiale ha contribuito maggiormente alla crescita degli Stati Uniti rispetto alla spesa dei consumatori durante la prima metà di quest'anno.

Questo tipo di spesa non può essere finanziato da una singola entità (tranne, forse, il governo).


Anche le aziende tecnologiche straordinariamente ricche di liquidità e redditizie hanno bisogno di finanziamenti per finanziarsi, sia perché sono ancora sotto pressione per restituire parte degli utili agli investitori, sia perché ciò significherebbe intaccare i loro bilanci.

Con l'aumento della domanda di spesa (perché, come ha detto Joe, l'intelligenza artificiale è una competizione esistenziale sia per le aziende che per i paesi; se non vinci, muori), i mercati finanziari, incluso il credito privato, hanno colto l'occasione per amplificare la sua straordinaria crescita.

La finanza è il meccanismo attraverso il quale l'intelligenza artificiale si è intrecciata con l'economia reale

L'intelligenza artificiale sta ora influenzando i valori immobiliari, il mercato del lavoro (con un impatto netto ancora oggetto di discussione), i prezzi dell'elettricità, la produzione e la ricchezza delle famiglie. JPMorgan stima che circa il 44% del valore dell'indice S&P 500 provenga ora dalle 30 maggiori aziende focalizzate sull'intelligenza artificiale, e il settore ha reso gli americani più ricchi di circa 5 trilioni di dollari nel 2025. Se il valore di mercato dell'intelligenza artificiale dovesse improvvisamente diminuire, presumibilmente lo stesso accadrebbe per la spesa dei consumatori

Tornando alla nota di Saut del 2007, egli fece un'importante distinzione ancor prima che la crisi entrasse nel vivo.

Era importante, sosteneva, distinguere tra una stretta creditizia e una stretta dei collaterali.

Una stretta creditizia si verificava quando banchieri e investitori erano troppo spaventati per concedere prestiti. Una stretta dei collaterali, invece, era l'improvviso crollo del valore degli asset alla base di tutti quei prestiti. Come Saut notò con lungimiranza (anche questo nel 2007), il rischio era "che il contagio si diffondesse e trasformasse la stretta dei collaterali in una stretta creditizia a tutti gli effetti".

Questo è esattamente ciò che è successo nel 2008

Al momento, il flusso di cassa sembra irrilevante per il settore dell'IA e il boom della spesa continua a ritmo serrato.

Ma un giorno la capacità di monetizzare tutta questa spesa e trasformare le spese in conto capitale in entrate avrà effettivamente importanza.

Se questi profitti non si materializzano, se i consumatori passano ad alternative cinesi più economiche, se il valore delle GPU diminuisce, il settore potrebbe affrontare una crisi delle garanzie.

Come avvertì Saut quasi due decenni fa, il pericolo è che una crisi delle garanzie si trasformi in una crisi del credito e che l'intero volano IA-finanza-economia si arresti bruscamente.

Valter Buffo
Detox. Pessimisti contro ottimisti. Oppure? Realisti.
 


Leggiamo insieme il testo della prima immagine di oggi. Più in basso, lo abbiamo anche tradotto in italiano.

Leggiamo che cosa sta scritto nell’immagine qui sopra (che commenta la seduta di mercoledì scorso sulla Borsa di New York):

Oggi è uno di quei giorni:

Quasi tutte le classi di attività sono in ribasso oggi e tutti i tentativi di rally intraday vengono venduti.

Si tratta semplicemente di una diffusa presa di profitto.

A nostro avviso, nulla è cambiato fondamentalmente.

Detto questo, i mercati rialzisti più sani subiscono cali periodici.

Infatti, l'S&P 500 registra in media almeno 3 cali del -5% o più ALL'ANNO, nonostante un guadagno annuo medio del +10%.

La realtà è che il CAPEx dei Magnifici 7 da SOLO è ora destinato a superare i 500 miliardi di dollari ALL'ANNO.

I tagli dei tassi sono arrivati, la deregolamentazione è arrivata, la crescita degli utili è del 10%+ anno su anno e la Rivoluzione dell'IA sta accelerando.

Ignorate il rumore.


L’immagine ed il testo ci ha colpito, ed abbiamo ritenuto opportuno riproporla nel Blog, perché è una efficace descrizione, in pochissime parole, dell’argomento degli “ottimisti”: di quelli (e sono tanti, ancora oggi 8 novembre 2025) che NON vedono una bolla e che vedono le Borse in perenne rialzo.

Ognuno di noi investitori (e non soltanto i gestori di portafoglio professionali come Recce’d) è chiamato a confrontarsi con questi argomenti: è esattamente questa la musica con la quale hanno danzato gli indici di Borsa nei mesi di luglio, agosto, settembre ed ottobre.

Questa è la musica: ma le parole?

Non convincono tutti queste parole. C’è chi dubita. C’è chi analizza in modo diverso la situazione di oggi. Insomma, c’è chi la vede diversamente.

Ne scriviamo oggi, perché nelle ultime settimane è diventato più frequente leggere opinioni e commenti diversi, da quello dell’immagine precedente.

Alla “moda” di esaltare l’euforia in Borsa come segno di successo, prevalente nei mesi estivi, è subentrato un “clima autunnale”, un clima dove si sostituisce la “moda” dell’euforia con la “moda” di mettere le mani avanti.

In settimana alla pagina TWIT - TWOO abbiamo messo in evidenza il ricorrente tema delle “valutazioni”. E’ un utile esempio di ciò che stiamo illustrando: oggi, le “valutazioni” sono altrettanto estreme di tre mesi fa, di sei mesi fa, di dodici mesi fa. Erano assurde allora, restano insensate oggi.


Perché oggi queste “valutazioni” vanno in prima pagina?

Un mese fa, tutti ci spiegavano che “ormai non contano più nulla”.

Per quale ragione si sono svegliati tutti adesso?

Che cosa è cambiato, nella realtà?

Si sente, forte, un odore di truffa.

Perché nella realtà, rispetto ai mesi estivi, è cambiato pochissimo: i fatti ed i numeri sono i medesimi.

Ma, come sempre accade, i social ed i media, anziché INFORMARE il lettore tentano di MANIPOLARE il lettore inventando una “storia”, una “narrativa” slegata dalla realtà, ma che possa risultare “plausibile” alla massa, che poi vuole semplicemente dire “vendibile”. fare soldi, costruendo una “narrativa” che è fondata sul NULLA ma che può fare … muovere i portafogli della massa.

Luglio, agosto e settembre 2025: era tutto “fantastico”. Ottobre e novembre 2025 diventa per molti: “non è più tutto è fantastico, fate molta attenzione!”.

Come sempre noi di Recce’d facciamo, anche in questo caso in Recce’d ci domandiamo: ma la realtà, qual’è? E’ cambiato qualche cosa, nella realtà? Un fatto, un dato, un’evidenza, un qualcosa di reale e visibile da tutti? Oppure si tratta solo delle ultime fantasie distorte di giovani venditori un po’ esaltati ed un po’ allucinati dagli eccitanti artificiali che lavorano nei grattacieli di Morgan Stanley, Goldman Sachs e JP Morgan e tutte le altre banche internazionali di investimento? I grossisti determinati a gonfiare all’infinito “la bolla di tutto”?

E’ realtà contro “narrativa”, per tutti noi investitori. In Recce’d, noi guardiamo unicamente alla realtà. Che cosa dice, la realtà, oggi?

Ora leggiamo in che modo le grandi banche internazionali stanno tentando di “ricostruire la loro narrativa”, il loro slogan di vendita che adesso è diventato “vendete perché qualche cosa non è più ottimo, eccellente, stratosferico, fantastico, eccezionale”.

Addirittura, nel novembre 2025 c’è chi si è spinto a ritirare fuori dallo scatolone delle cose vecchie l’espressione “reality check”.

Leggiamo insieme un resoconto.


I mercati globali potrebbero dover fare i conti con la realtà (reality check) dopo l'inarrestabile rally di quest'anno, poiché Goldman Sachs e Morgan Stanley martedì hanno avvertito gli investitori di prepararsi a un calo nei prossimi due anni.

Le azioni di tutto il mondo sono salite vertiginosamente, raggiungendo massimi storici quest'anno, trainate dai guadagni legati all'intelligenza artificiale e dalle aspettative di tagli dei tassi. Nell'ultimo mese, i principali indici statunitensi hanno raggiunto nuovi massimi, il Nikkei 225 giapponese e il Kospi sudcoreano hanno toccato nuovi massimi, mentre lo Shanghai Composite cinese ha raggiunto il livello più alto in un decennio, grazie all'allentamento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina e al deprezzamento del dollaro.

"È probabile che nei prossimi 12-24 mesi si verificherà un calo del 10-20% nei mercati azionari", ha dichiarato David Solomon, CEO di Goldman Sachs, al Global Financial Leaders' Investment Summit di Hong Kong. "Le cose vanno, poi si ritirano, così le persone possono rivalutare la situazione".

Tuttavia, Solomon ha osservato che tali inversioni di tendenza sono una caratteristica normale dei mercati rialzisti a lungo termine, sottolineando che il consiglio costante della banca d'investimento ai clienti rimane quello di mantenere gli investimenti e rivedere l'allocazione del portafoglio, non di cercare di anticipare i mercati.

"Un calo del 10-15% si verifica spesso, anche durante cicli di mercato positivi", ha affermato. "Non è qualcosa che cambia i fondamentali, le convinzioni strutturali su come si desidera allocare il capitale".

Il CEO di Morgan Stanley, Ted Pick, intervenendo allo stesso panel, ha affermato che gli investitori dovrebbero accogliere con favore i ribassi periodici, definendoli sviluppi sani piuttosto che segnali di crisi.

"Dovremmo anche accogliere con favore la possibilità che si verifichino ribassi, ribassi del 10-15% che non siano causati da una sorta di effetto macroeconomico", ha affermato.

Le opinioni di Solomon e Pick giungono sulla scia dei recenti avvertimenti del FMI su una possibile brusca correzione, mentre il presidente della Federal Reserve Jerome Powell e il governatore della Banca d'Inghilterra Andrew Bailey hanno anch'essi messo in guardia dalle valutazioni azionarie gonfiate.

Punti di forza in Asia

Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno indicato l'Asia come un punto di forza nei prossimi anni, sulla scia dei recenti sviluppi, tra cui l'accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. Goldman prevede che gli allocatori di capitali globali continueranno a essere interessati alla Cina, aggiungendo che rimane una delle "più grandi e importanti economie" al mondo.

Morgan Stanley rimane ottimista su Hong Kong, Cina, Giappone e India, grazie ai loro percorsi di crescita unici. Le riforme della corporate governance in Giappone e lo sviluppo infrastrutturale in India sono stati individuati come temi di investimento pluriennali.

"È difficile non essere entusiasti di Hong Kong, Cina, Giappone e India: tre narrazioni molto diverse, ma tutte parte di una storia asiatica globale", ha affermato Ted. Ha evidenziato in particolare i settori dell'intelligenza artificiale, dei veicoli elettrici e delle biotecnologie in Cina.


Quindi Goldman Sachs e JP Morgan oggi cercano di “anticipare la prossima mossa dei mercati”, suggerendo alla propria Clientela di agire CONTRO ciò che loro stessi, in Goldman Sachs ed in JP Morgan ed in tutte le altre banche di investimento, avevano contribuito attivamente a gonfiare, ovvero “la bolla”, con toni ed annunci trionfalistici ben oltre il limite dello stupido, come era spiegato dal nostro Post precedente a questo.

E da questo fatto, noi di Recce’d individuiamo una grande opportunità di investimento, che indichiamo a chi ci legge.

Sia chiaro: a noi oggi NON ci interessano (per nulla) quei “punti di forza in Asia” citati nel brano precedente.

E’ vero che oggi esistono opportunità, in Asia, oggi, ma esistono opportunità di guadagno VERE, autentiche, opportunità di investire sul VALORE reale delle cose, in ogni parte del Mondo, anche negli Stati Uniti, anche in Europa. Il segnale è che che oggi molti scrivono dei “rischi di bolla”.

Noi in Recce’d sappiamo individuare queste opportunità (che NON c’entrano con “la bolla”) ed i Clienti di Recce’d si appropriano di questi benefici attraverso i nostri portafogli modello.

In questo Post però ci dedichiamo ad altro: ci dedichiamo alle “parti in commedia”, ovvero agli ottimisti ed ai pessimisti che ogni giorno si confrontano attraverso i social, i media, ed i cui argomenti poi si riflettono nelle tattiche commerciali delle Aziende di promozione finanziaria che a voi piazzano le polizze, i Fondi Comuni, le GPM e i prodotti finanziari privi di un prezzo (come finanziamenti diretti, credito privato, venture capital e private equity).

Rendiamo un servizio al lettore di Recce’d mettendo un po’ di ordine, e restituendo un po’ di senso a questo dibattuto disordinato e spesso sguaiato tra persone poco preparate che cercano unicamente di “vendere” al lettore una narrativa plausibile, anche se è priva di fondamento e di collegamenti soldi con la realtà circostante.

Come potete leggere nel contributo che segue qui sotto (che ci riporta alla immagine vista in apertura del Post) tutti voi oggi siete finiti nella Fase 5, e non lo sapete ancora.


La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross ha ipotizzato che esistano cinque fasi del lutto, ma nessuno ha più la capacità di attenzione necessaria. Siamo invece passati dalla fase uno, la negazione – "non esiste una bolla di intelligenza artificiale", alla fase cinque, l'accettazione – "l'intelligenza artificiale è una bolla e le bolle sono fantastiche".

L'ipotesi "le bolle sono fantastiche" è stata avanzata sia in libri divulgativi che accademici, ma è stato difficile ignorarla quando Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi del mondo, ha cercato di distinguere tra bolle finanziarie (negative) e bolle industriali (meno negative, forse positive). Bezos, dopotutto, ha creato una delle più grandi aziende del XXI secolo, Amazon, nel mezzo di una bolla che ha trasformato aziende contemporanee come Webvan e Pets.com in una barzelletta.

C'è una solida teoria alla base dell'idea che le manie di investimento siano positive per la società nel suo complesso: senza una mania, non si fa nulla per paura che le idee migliori vengano copiate.

Gli imprenditori e gli inventori che si assumono dei rischi si troveranno presto ad affrontare la concorrenza di altri imprenditori e inventori, e la maggior parte dei benefici non andrà a nessuno di questi imprenditori, ma ai loro clienti.

(Questa dinamica ha il delizioso nome di "fallacia dell'alchimista". Se qualcuno scopre come trasformare il piombo in oro, molto presto tutti sapranno come trasformare il piombo in oro, e quanto varrà allora l'oro?)

L'economista e premio Nobel William Nordhaus tentò una volta di stimare quale quota del valore delle nuove idee andasse alle aziende che le possedevano e quanta a tutti gli altri (per lo più consumatori). Concluse che la risposta – negli Stati Uniti, tra il 1948 e il 2001 – era il 3,7% alle aziende innovative e il 96,3% a tutti gli altri. In altre parole, i benefici di ricaduta erano 26 volte superiori ai profitti privati.

Se i benefici dell'IA sono distribuiti in modo simile, ci sono ampie possibilità che gli investimenti in IA siano socialmente vantaggiosi, pur essendo scommesse catastrofiche per gli investitori.

Il parallelo storico che viene menzionato più e più volte è la bolla ferroviaria. La guida del bluffatore alla bolla ferroviaria è la seguente: gli investitori britannici si entusiasmarono per le ferrovie negli anni '40 dell'Ottocento, i prezzi delle azioni salirono a livelli assurdi, alcuni investitori persero la camicia, ma alla fine, indovinate un po'? Avevamo le ferrovie! O come scrisse lo storico vittoriano John Francis: "Non sono i promotori, ma gli oppositori delle ferrovie, i pazzi".

Messa così, non sembra poi così male. Ma dovremmo metterla così? Mi sono messo in contatto con alcuni storici delle bolle: William Quinn e John D. Turner, autori di Boom and Bust: A Global History of Financial Bubbles, e Andrew Odlyzko, un matematico che ha anche lui studiato approfonditamente la mania delle ferrovie. Erano meno ottimisti.

"Finanziare le ferrovie attraverso una bolla, piuttosto che attraverso una pianificazione centralizzata (come è avvenuto in gran parte d'Europa), ha lasciato la Gran Bretagna con una rete ferroviaria progettata in modo molto inefficiente", afferma Quinn. "Questo ha causato problemi fino ad oggi."

Ha senso. Esistono diverse possibili definizioni di bolla, ma le due più semplici sono o che il prezzo delle attività finanziarie si slega dai valori fondamentali, o che gli investimenti vengono effettuati sulla base della psicologia di massa – da persone che hanno paura di perdersi qualcosa o che sperano di scaricare le proprie scommesse su un più sciocco. In entrambi i casi, perché mai qualcuno dovrebbe aspettarsi che gli investimenti effettuati in un simile contesto siano anche solo lontanamente socialmente desiderabili?

O come ha affermato l'Edinburgh Review, "Non esiste, in effetti, una linea praticabile tra due luoghi considerevoli, per quanto remoti, che non sia stata occupata da un'azienda. Spesso due, tre o quattro linee rivali sono state avviate simultaneamente."

E l'Edinburgh Review non scriveva negli anni '40 dell'Ottocento, ma descriveva la bolla ferroviaria degli anni '30 dell'Ottocento, i cui giorni di gloria videro i promotori spingere per treni a vela e persino locomotive a razzo che viaggiavano a diverse centinaia di miglia orarie.

La bolla più grande e famigerata degli anni '40 dell'Ottocento doveva ancora arrivare, così come quella degli anni '60 dell'Ottocento ("un disastro per gli investitori", afferma Odlyzko, aggiungendo che è discutibile se i guadagni sociali abbiano superato le perdite private negli anni '60 dell'Ottocento). La lezione più ovvia delle mania ferroviarie non è che le bolle siano... Bene, ma quella speranza è eterna e gli investitori avidi non imparano mai.

Un'altra lezione della mania ferroviaria è che quando sono in gioco ingenti somme di denaro, il confine tra commercio e politica si confonde presto, così come il confine tra clamore e frode vera e propria.

Il "re delle ferrovie" George Hudson ne è un esempio lampante. Nato in una modesta famiglia di agricoltori dello Yorkshire nel 1800, ereditò una fortuna da un prozio in circostanze sospette, poi costruì un impero di holding ferroviarie, tra cui quattro delle più grandi della Gran Bretagna. Fu sindaco di York per molti anni, oltre che deputato a Westminster. Affari e politica indissolubilmente intrecciati? Inconcepibile!

Un altro storico delle bolle speculative, William J. Bernstein, commenta Hudson dicendo che "l'equivalente moderno più vicino sarebbe il presidente di Goldman Sachs che presta servizio contemporaneamente al Senato degli Stati Uniti". È una bella analogia ipotetica. Forse ne vengono in mente di meno ipotetiche.

Hudson, purtroppo, non è un uomo da emulare. Mantenne le sue finanze in condizioni rispettabili effettuando pagamenti in stile Ponzi, finanziando i dividendi per gli azionisti esistenti con capitale appena raccolto, e frodò i suoi colleghi azionisti facendo sì che le società da lui controllate acquistassero le sue azioni personali a prezzi superiori a quelli di mercato. Alla fine, fu protetto dalla rovina solo dalla regola secondo cui i parlamentari in carica non potevano essere arrestati per debiti non pagati durante le sessioni della Camera dei Comuni. Alla fine fuggì in esilio in Francia.

Le ossessioni ferroviarie non sono del tutto scoraggianti. William Quinn è confortato dall'osservazione che quando le banche si tengono lontane dalla bolla, il suo scoppio ha effetti limitati. Questo era vero negli anni '40 dell'Ottocento e forse lo sarà anche oggi.

E Odlyzko mi rassicura che la mania degli anni Trenta dell'Ottocento "fu un successo, alla fine, per quegli investitori che perseverarono", anche se non si può dire lo stesso per gli anni Quaranta e Sessanta dell'Ottocento. Ma Odlyzko non è impressionato dalle analogie tra ferrovie e intelligenza artificiale.

La gente almeno capiva come funzionavano le ferrovie, dice, e cosa avrebbero dovuto fare. Ma l'intelligenza artificiale generativa? "Stiamo perdendo il contatto con la realtà", sostiene.

Stiamo perdendo il contato con la realtà? Per essere precisi, questo contatto è stato perso da molto tempo, dai mercati finanziari, e principalmente per una causa che tutti conoscono, ovvero l’attuazione di politiche fiscali e monetarie spregiudicate, irresponsabili e dannose.

Però Il nostro obbiettivo, che perseguiamo ogni giorno con i nostri Clienti, ma che è anche l’obbiettivo di ogni nostro intervento in pubblico, attraverso il nostro sito, Non è quello di criticare la politica: bensì è quello di migliorare i risultati della gestione del portafoglio titoli. Dei nostri Clienti, ovviamente, ma pure degli amici che ci seguono attraverso il sito.

Il nostro suggerimento, molto pratico, a tutti gli investitori, è quello che già avete letto nel Blog: non fatevi confondere le idee, perché questo che vedete non è il 1929, non è il 2000, non è il 2008. Non è “la bolla”. Contrariamente a ciò che in tantissimi scrivono oggi, soltanto perché come già detto “è di gran moda”.

Dieci anni fa, Andrew Ross Sorkin, giornalista, conduttore televisivo e co-creatore del programma Billions, iniziò a studiare ossessivamente il crollo del mercato azionario del 1929. Ora ha finalmente pubblicato un libro su quell'evento, con un tempismo perfetto. Infatti, con i titoli tecnologici in forte rialzo questa settimana, si sta intensificando il dibattito se si sia appena assistito a una bolla legata all'hype sull'intelligenza artificiale, ora destinata a scoppiare.

Invocare la storia è attualmente di gran moda, che l'anno scelto sia il 1929, il 2000 o il 2008. "Sono stato fortunato", mi ha detto Sorkin durante un dibattito questa settimana, ridacchiando.

Quali lezioni possono quindi imparare gli investitori? La più significativa è che le manie non riguardano mai "solo" le oscillazioni del mercato azionario, per quanto appariscenti: riguardano anche l'eccessiva leva finanziaria, l'ampia liquidità e la follia degli investitori.

Un modo per inquadrare gli eventi attuali è pensare a quelle tre L. Per dirla senza mezzi termini: la mania dell'intelligenza artificiale è un sintomo, non solo una causa, di altri squilibri in un mondo di denaro facile.

Si consideri la liquidità. In un certo senso, potrebbe sembrare che gli investitori non abbiano motivo di preoccuparsi dell'eccesso di liquidità, dato che la scorsa settimana la Federal Reserve ha deciso di interrompere la riduzione del proprio bilancio a causa dei timori di scarsa liquidità in alcune aree del mercato monetario in cui le banche interagiscono con la Fed.

Più specificamente, il cosiddetto tasso di riacquisto è recentemente aumentato, rispetto ad altri indici di riferimento della Fed, il che segnala potenziali tensioni in questo angolo oscuro della finanza.

Questo è inquietante. Tuttavia, sembra riflettere due fattori: tecnicismi relativi all'uso del quantitative tightening da parte della Fed; e enormi distorsioni nei flussi di finanziamento derivanti dall'impatto della chiusura delle attività del governo statunitense sulle operazioni del Tesoro.

E se si guarda al sistema finanziario in un'ottica di più lungo termine, la liquidità sembra abbondante, se non eccessiva, in molte altre aree, a causa dell'ultimo decennio di quantitative easing, del basso livello dei tassi di interesse reali statunitensi, degli stimoli fiscali e della creazione di credito privato. In effetti, l'indice delle condizioni finanziarie di Goldman Sachs si è notevolmente allentato quest'anno – e probabilmente si allenterà ulteriormente, data la posizione della Fed.

Matt King, fondatore di Satori Insights, afferma: "Con la fine del QT e l'allentamento dei tassi – anche se le condizioni finanziarie su alcuni parametri sono al loro punto più basso dopo lo straordinario stimolo di fine 2020 – la Fed sembra destinata ad aumentare quella che molti già considerano "schiuma" in diversi mercati finanziari". Questo è degno di nota, dato che tale schiuma di solito innesca follie, cullando gli investitori nell'autocompiacimento, finché tale liquidità non evapora improvvisamente in una crisi.

Oppure riflettete sulla seconda L, la leva finanziaria. In alcuni settori della finanza, questo non è attualmente troppo allarmante. L'indebitamento delle famiglie statunitensi, ad esempio, è inferiore ora rispetto al 2007, e l'indebitamento complessivo delle imprese non finanziarie è stabile. Ma la leva finanziaria nelle iniziative legate all'intelligenza artificiale sta aumentando e il debito pubblico occidentale sta esplodendo. La leva finanziaria nel settore finanziario è aumentata, principalmente nel settore del private equity e del credito, e il livello di margin trading sul mercato azionario è aumentato vertiginosamente. "La leva finanziaria nel settore finanziario sta alimentando i fondi repo e gli hedge fund", sostiene King, il quale ritiene che tutta questa liquidità abbia spinto al rialzo i prezzi degli asset, soprattutto perché i fondi passivi stanno ora amplificando notevolmente lo slancio del mercato.

Poi c'è la terza L: follie sparse, in mezzo alla schiuma. Si consideri, ad esempio, come il prezzo delle azioni di Palantir sia stato recentemente scambiato a quasi 230 volte gli utili futuri; o il fatto che 10 startup di intelligenza artificiale in perdita ora valgano quasi 1.000 miliardi di dollari; o la rivelazione che prima del fallimento di First Brands, oltre 2 miliardi di dollari del suo debito di 12 miliardi di dollari sono svaniti senza che i creditori se ne accorgessero. Oppure si noti il ​​ritorno del "rating shopping" – i finanziatori cercano rating creditizi ingannevolmente lusinghieri per le operazioni – che crea "un rischio sistemico incombente", secondo Colm Kelleher, presidente di UBS.

Ciò significa che dovremmo aspettarci una replica del 1929? Non necessariamente, secondo Sorkin. Sebbene si aspetti una correzione dei mercati finanziari, non ritiene che questa debba essere seguita da una depressione in stile anni '30, poiché le banche centrali hanno imparato la lezione dalla storia e inietteranno nuovamente liquidità per prevenire una crisi, come hanno fatto dopo il 2008 e nel 2020.

Sono d'accordo. Ma questo crea anche rischi politici e finanziari. Prendiamo l'influente blogger di destra Curtis Yarvin. Per lui e i suoi simili, i salvataggi delle banche centrali non fanno altro che accelerare la "diluizione monetaria", ovvero trasformare la finanza basata sul dollaro in una bolla ancora più grande, destinata a scoppiare. Ecco perché Yarvin e soci hanno creato le criptovalute e amano l'oro.

Questa argomentazione continuerà a infuriare. Ma nel frattempo, gli investitori Bisognerebbe prestare attenzione a due cose. In primo luogo, la mania tecnologica potrebbe avere ancora molto da fare, date le ipotesi degli investitori riguardo al "put" della Fed, ai solidi utili aziendali non legati all'intelligenza artificiale e al fatto che, nonostante le valutazioni folli, l'intelligenza artificiale è una tecnologia reale.

In secondo luogo, nel lungo periodo le bolle finiscono sempre per sgonfiarsi, spesso quando meno lo si aspetta. Nei mercati azionari pubblici questo può essere un "pop" improvviso; nella finanza privata (che conta ora), è più spesso un lungo e lento "sibilo". In ogni caso, continuate a monitorare leva finanziaria e liquidità, e ricordate che alcune follie spesso diventano chiare solo col senno di poi, proprio come nel 1929.

gillian.tett@ft.com


Recce’d, come ben sapete, si tiene da sempre lontanissima dalle “mode”. Recce’d combatte contro le “mode” nel mondo degli investimenti: perché la “moda” con l’investimento ha nulla a che vedere. Ed è proprio andando contro la “moda” che si fanno gli affari migliori. Da sempre è così.

Le “mode” vanno e vengono, poi ritornano: c’è chi si è fatto una fortuna, cavalcando le “mode”, ma c’è pure chi è finito malissimo, e sono di gran lunga la maggioranza.

La gestione di Recce’d invece garantisce ottimi risultati andando contro le “mode”: anche quando la “moda” diventa “parlare della bolla”.

Lo abbiamo già detto, e lo ripetiamo anche in questo Post: quella del 2020-2025 non è “una bolla”, bensì è la “Nuova Era”.

Un fatto storico unico e senza precedenti, che all’investitore impone di:

  • modificare le informazioni che utilizza per le sue scelte, ed i criteri di selezione dei media e dei social

  • modificare il metodo di valutazione degli asset finanziari ed i modelli di valutazione

  • modificare il metodo di costruzione della asset allocation e la gestione del portafoglio

  • modificare la futura strategia del portafoglio

  • cambiare i riferimenti, gli interlocutori, le vecchie pratiche ed abitudini,

  • ed abbandonare i “consulenti che sono pagati con le retrocessioni sui prodotti finanziari che piazzano nel vostro portafoglio” e che a voi, assolutamente, NON servono a nulla.

Ed in molti lo hanno già fatto.

E voi, amici lettori?

Non rimanete indietro. Non fate gli ultimi della fila.


La Nuova Era, della quale noi di Recce’d vi scriviamo dal 2022, come detto impone una serie di urgenti cambiamenti: noi, con i nostri Clienti, ne parliamo ogni mattina, traducendo le indicazioni che abbiamo elencato qui sopra in fatti. Non c’è tempo ne spazio per fare tutto questo all’interno di un Post.

Vogliamo però, come sempre facciamo, fornire al nostro lettore qualche cosa di concreto anche oggi. E lo facciamo con l’ultimo contributo di questo Post: contributo che vi spiega, in modo chiaro, la ragione per la quale poco più in alto avete visto una serie di immagini che segnalano le “valutazioni” come problema per le Borse. Noi vi abbiamo già scritto, e ripetiamo adesso grazie a questo contributo, che NON saranno le valutazioni 8peraltro assurde) ad innescare la prossima, caotica e probabilmente distruttiva) fase dei mercati finanziari.

Potete leggere, proprio in chiusura di questo contributo, la regola aurea che guida la gestione dei portafogli in Recce’d.

La regola, la sola, che garantisce i risultati.

Che poi è la regola della realtà, amici di Recce’d: molto semplice.


Cosa scoppia per primo in una bolla? Non il prezzo, ma l'impianto idraulico. Quando i mercati si calmano e le valutazioni fluttuano al di sopra dei fondamentali, il difetto fatale è solitamente nascosto nei termini di finanziamento, nella capacità di uscita e nella fiducia che il domani sarà come oggi. Le bolle si sgonfiano sempre; la sorpresa è dove e come si rompe la cucitura.

Le tre L – leva finanziaria, liquidità e lunatici – decidono la velocità e la forma della discesa.

I finali negativi della storia fanno rima perché i meccanismi non cambiano. La leva finanziaria trasforma un livido in una frattura. La liquidità svanisce quando è più richiesta. La follia non è un fenomeno collaterale dei meme azionari; è un'abitudine professionale, codificata in modelli e mandati.

La leva finanziaria come acceleratore, non come causa

La leva finanziaria non crea una bolla, la trasforma in un'arma. Un calo dei prezzi in un mercato azionario è un segnale; un calo dei prezzi con leva finanziaria è una richiesta di margine. Gli ex dirigenti delle banche centrali lo hanno ammesso: sono le bolle con leva finanziaria che metastatizzano in crisi. I bilanci, non le narrazioni, governano la sopravvivenza. Quando un capitale proprio ridotto supporta obbligazioni consistenti, un movimento di una deviazione standard diventa un evento esistenziale. I cicli del debito societario illustrano questo punto. Nelle fasi avanzate del ciclo, la qualità dei covenant si indebolisce, il debito prolifera al di fuori delle banche e gli investitori sottoscrivono ipotesi rosee sulle finestre di rifinanziamento. La leva finanziaria razionalizza il pagamento eccessivo concentrando i rendimenti futuri nell'oggi. Inoltre, comprime il tempo durante il ribasso. Quando il valore delle garanzie vacilla, gli istituti di credito accorciano le scadenze e ampliano gli haircut. La matematica non chiede il permesso.

La liquidità è una promessa da tempo favorevole

La liquidità è un lusso senza costi in periodi di calma e un miraggio proibitivo in termini di costi quando la massa si volge. I rapporti ufficiali hanno messo in guardia per anni sulle sacche di illiquidità, anche se la stabilità dei titoli sembrava buona. Il paradosso è semplice: più profondo appare il mercato, più grandi sono i partecipanti che cercano di varcarlo. Poi la porta si restringe. L'abbiamo visto ripetutamente: il crollo del 1987 con l'assicurazione di portafoglio, il singhiozzo dei repo del 2019 che ha rivelato i vincoli di bilancio, la convulsione del mercato dei titoli del Tesoro del 2020 che ha costretto le banche centrali ad agire, la spirale dei titoli di Stato britannici del 2022, quando le coperture con leva finanziaria hanno incontrato richieste di margine. In ogni caso, gli asset erano "liquidi" finché non lo sono più stati. La profondità del mercato non è una proprietà; è uno stato d'animo. Le quotazioni sono promesse che le controparti sono libere di revocare quando le regole su scorte e capitale incidono. In una crisi, i gap di prezzo sostituiscono la determinazione dei prezzi.

La follia è istituzionalizzata

È comodo inquadrare la follia come avidità al dettaglio. La forma più perniciosa risiede nei processi di rischio. Si considerino strategie che raccolgono piccoli premi con code catastrofiche: opzioni short, carry con leva finanziaria, parità di rischio senza guardrail, miglioramento del rendimento venduto come reddito gratuito. I modelli Value-at-Risk danno il via libera a posizioni più consistenti durante i periodi di calma, che per costruzione sono quelli in cui la volatilità realizzata è bassa e il rischio forward sembra moderato, finché non lo è più. Il de-risking basato su regole può essere implementato contemporaneamente su tutti i fondi. I backtest sono trattati come leggi della fisica. Ipotesi di mercati continui e liquidità immediata si insinuano nei term sheet. La follia non è l'esuberanza; è la fiducia che il sistema sarà lì quando tutti cercheranno di usarlo contemporaneamente.

La teoria dei giochi delle uscite affollate

Lo stress è un problema di coordinamento. Se rimanere fermi è razionale a condizione che altri rimangano, ma correre verso l'uscita è razionale se altri scappano, la strategia dominante diventa quella di correre in anticipo. È così che i portafogli ordini si assottigliano da entrambe le parti. La proliferazione di strumenti che mappano i livelli di liquidazione e bloccano i cluster è un'arma a doppio taglio. I trader monitorano dove potrebbero innescarsi le vendite forzate, il che concentra gli ordini attorno a tali soglie. La mappa influenza il terreno. Quando il prezzo si avvicina al cluster, le scorte vengono ridotte, gli spread si ampliano e inizia l'inevitabile cascata. Questa riflessività non è speculazione; è microstruttura. Quando l'acquirente marginale è un risk officer, il mercato si libera dove deve, non dove i modelli indicano che dovrebbe. Camere di compensazione per derivati ​​e concentrazione del rischio

La compensazione centrale riduce l'esposizione bilaterale alle controparti, ma concentra il rischio operativo e di liquidità. Le camere di compensazione sono progettate con livelli di protezione e cascate di capitale, ma devono affrontare un semplice stress: i margini di variazione aumentano quando la volatilità aumenta. I membri devono depositare liquidità rapidamente. Un'insolvenza può imporre la mutualizzazione tra gli altri, tirando le proprie linee di liquidità. Il sistema è costruito per essere robusto, ma non è infinito. Abbiamo assistito a un'insolvenza europea sui derivati ​​di potenza che ha innescato richieste di capitale di emergenza. Abbiamo visto come le coperture sui tassi di interesse, essenziali sulla carta, siano diventate cinghie di trasmissione per le richieste di margine di liquidità nel Regno Unito. La lezione è non temere le camere di compensazione; è rispettare la loro centralità. In un evento estremo, diventano la sala macchine del mercato. Se scricchiolano, tutto ciò che sta sopra coperta ne risente.

Liquidità di mercato, debito societario e il buffer mancante

Alla fine di lunghe espansioni, gli spread creditizi sono stretti, i prezzi delle attività sono elevati e il mercato crea la capacità di acquisizione poco limitata dalla regolamentazione e dai limiti di rischio. I rapporti ufficiali sulla stabilità hanno già segnalato queste condizioni in passato. Immobili commerciali e terreni agricoli hanno registrato valutazioni elevate in tali finestre temporali. Nel frattempo, i bilanci dei dealer non sono stati adeguati ai flussi passivi e alle sovrapposizioni di derivati. Il cuscinetto mancante è il tempo: la capacità di aspettare. I fondi con liquidità giornaliera o settimanale che detengono asset negoziati su appuntamento effettuano la trasformazione delle scadenze. In condizioni di stress, i gate e lo swing pricing tentano di rallentare l'emorragia, ma queste sono ammissioni del fatto che la liquidità è stata assunta, non posseduta. Se le vostre passività sono più veloci delle vostre attività, state prendendo in prestito il futuro. Il conto arriva.

L'antifragilità batte la brillantezza

La gestione del rischio non è intelligenza; è umiltà insita nella struttura. L'atteggiamento antifragile è fuori moda nei mercati rialzisti: maggiori saldi di cassa, esposizioni senza leva finanziaria, duration e liquidità matching e un dimensionamento delle posizioni che sopravvive a molteplici shock sigma senza vendite forzate. L'opzionalità è costosa finché non lo è più. La diversificazione viene derisa finché non è l'unica cosa che funziona. Il portafoglio al limite che sovraperforma di pochi punti base in acque calme è lo stesso portafoglio che diventa un venditore forzato quando la volatilità si normalizza. I decisori politici possono stabilizzare i finanziamenti, ma non possono imporre acquirenti al prezzo di ieri. La resilienza risiede nel surplus di garanzie e nella capacità di dire di no.

Psicologia degli investitori e il prezzo della vendita forzata

Il principale punto cieco è la dipendenza dal percorso. Gli investitori sottoscrivono risultati finali e ignorano come devono procedere per raggiungerli. Un modello che proietta rendimenti accettabili a lungo termine a una data volatilità ignora i rischi di carriera e di finanziamento del percorso. Il bias di recenza etichetta i mercati calmi come a basso rischio; il bias di retrospettiva spiega ogni crollo passato come ovvio. Nel frattempo, la caccia al rendimento vende un'assicurazione di coda per pochi centesimi per raccogliere pochi centesimi. Il vero costo della liquidità è invisibile finché non c'è una coda allo sportello. Nelle bolle, la folla ottimizza per l'efficienza. Nella deflazione, la sopravvivenza è inefficiente per definizione: troppa liquidità, troppo poca leva finanziaria, liquidità a secco che sembra inattiva finché non diventa l'unica cosa che acquista opzionalità. Ciò che in realtà pone fine alla festa

La valutazione non pone fine ai cicli. Gli shock finanziari sì. Un'asta fallita. Un aggiornamento del programma di garanzie. Un cambiamento nella metodologia di margine. Un grande operatore costretto a liquidare il mercato. Il motivo per cui le bolle si sgonfiano sempre è aritmetico: i flussi di cassa sono importanti e la leva finanziaria non può superare la matematica per sempre. Il motivo per cui si sgonfiano quando meno te lo aspetti è comportamentale: il sistema addestra i partecipanti ad ancorarsi al regime recente.

Se vuoi un vantaggio duraturo, smetti di prevedere l'esplosione della bolla. Invece mappa le tue tre L (liquidità, leva e lunatici). Dove si nasconde la leva finanziaria, come si comporta la liquidità in condizioni di stress e quali ipotesi sembrano folli?

La regola silenziosa del mercato è semplice.

Non vieni remunerato dai mercati per avere ragione. Vieni remunerato per rimanere solvente abbastanza a lungo da far sì che la ragione conti.

Valter Buffo
Detox. "Il più stupido della storia"
 


Alla pagina MERCATI del nostro sito, nel corso della settimana, abbiamo pubblicato questo video. Disponibile su Youtube. Riproduce l’audio di uno spot radiofonico che per noi di Recce’d è di grande interesse.

Definisce ciò che Recce’d è e ciò che Recce’d fa.

Ci definisce, rispetto alla massa delle Reti di promotori finanziari. Definisce il nostro servizio, rispetto al servizio di massa fornito dalle Reti di promotori finanziari. Definisce il supermercato discount rispetto alla bottega artigiana di qualità.

Noi siamo quelli del “calcolo integrale”.

La settimana che si è appena conclusa ci offre un concreto, evidente ed importante esempio di ciò che vi diciamo prendendo a spunto questo spot radiofonico.

Ecco la ragione per la quale oggi ci dedichiamo ad un riesame della settimana appena conclusa: che dimostra, in modo eccellente, la ragione per la quale a tutti gli investitori serve un servizio di qualità, incluso il “calcolo integrale”, e la ragione per la quale tutti gli investitori dovrebbero abbandonare il supermercato discount, finche ne hanno ancora il tempo.

Riostruiamo, prima di tutto, come era iniziata la settimana che si è appena conclusa: rivediamo i fatti di mercato di lunedì 27 ottobre scorso.

Dagli accordi commerciali alle elezioni estere, dagli annunci di fusioni agli utili aziendali, gli investitori trovano molti motivi per essere felici.

Lunedì le azioni hanno toccato nuovi record, segnando una significativa ripresa dopo un periodo difficile in cui i timori sui dazi e le preoccupazioni per le perdite sui prestiti delle banche regionali hanno pesato sui principali indici.

L'ottimismo non si limita ai mercati statunitensi. Lunedì i benchmark di Giappone, Corea del Sud e Taiwan hanno registrato nuovi record, mentre l'indice composito di Shanghai ha chiuso al livello più alto degli ultimi 10 anni. Le azioni argentine sono balzate del 22%, spinte dalla decisiva vittoria politica del presidente Javier Milei alle elezioni di medio termine del Paese.

"Ci sono molti elementi nella colonna 'buona' e pochi in quella 'cattiva'", ha affermato Jed Ellerbroek, portfolio manager di Argent Capital Management.

Tutti e tre i principali indici azionari hanno toccato nuovi massimi storici lunedì, con le società tecnologiche in testa. Il Dow Jones Industrial Average ha guadagnato circa 337 punti, pari allo 0,7%. L'S&P 500 ha guadagnato l'1,2%. Il Nasdaq Composite è salito dell'1,9%, registrando guadagni consecutivi superiori all'1% per la prima volta da maggio.

Le azioni sono state sostenute dalle speranze di un miglioramento delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha affermato che giovedì è disponibile un "quadro di grande successo" di cui discutere tra il Presidente Trump e Xi Jinping, mentre un alto funzionario cinese ha affermato che le due parti hanno raggiunto un consenso preliminare su questioni chiave.

Il buon umore segna un'inversione di tendenza rispetto a poche settimane fa, quando un post sui social media di Trump che minacciava dazi più elevati contro la Cina fece crollare le azioni. Sia l'S&P 500 che il Nasdaq Composite hanno registrato la loro giornata peggiore da aprile. I fallimenti improvvisi del produttore di ricambi auto First Brands e del creditore automobilistico subprime Tricolor, insieme alla cancellazione di un prestito di 50 milioni di dollari da parte di Zions Bancorp, hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che un mercato del credito in fermento abbia nascosto sacche di debolezza.

Ma le preoccupazioni si sono attenuate e gli indici azionari si sono ripresi, con gli investitori che sembrano più che felici di accettare con calma gli ultimi aggiornamenti altalenanti sugli scambi, hanno affermato gli analisti.

"Gli investitori non hanno avuto altra scelta che accettare lo stile negoziale del Presidente Trump e la sua preferenza per la pubblicazione di accordi commerciali", ha affermato Ellerbroek. "Bisogna accettare che, se si detengono azioni tecnologiche a grande capitalizzazione, si è soggetti a sorprese quotidiane".

I trader sono stati anche rassicurati da un buon inizio di stagione degli utili. Sebbene la pubblicazione di dati economici cruciali, come il rapporto sull'occupazione di ottobre, sia stata posticipata a causa della chiusura delle attività governative, i profitti migliori del previsto delle principali aziende hanno attenuato le preoccupazioni sulla salute dell'economia statunitense.

Anche una serie di accordi aziendali ha alimentato l'ottimismo. Domenica e lunedì sono stati annunciati una serie di accordi di maggiore portata, alimentando l'entusiasmo degli investitori per un contesto più favorevole alle alleanze tra grandi aziende.

La banca regionale Huntington Bancshares ha annunciato l'acquisizione della controparte meridionale Cadence per 7,4 miliardi di dollari in azioni, l'ultimo esempio di consolidamento tra istituti di credito. Nel frattempo, le grandi aziende di servizi idrici American Water ed Essential Utilities hanno concordato di fondersi in un'operazione interamente azionaria, valutando la più piccola Essential a circa 12 miliardi di dollari, debito escluso, e domenica Novartis ha annunciato l'acquisizione della biotecnologia Avidity Biosciences per 12 miliardi di dollari.

"Il contesto normativo è costruttivo, non solo per il settore bancario", ha dichiarato in un'intervista l'amministratore delegato di Huntington, Steve Steinour. Le politiche di questa amministrazione "sono molto favorevoli alla crescita degli Stati Uniti".

Il valore totale delle transazioni negli Stati Uniti è aumentato di circa il 36% quest'anno rispetto al periodo precedente, raggiungendo circa 1.600 miliardi di dollari, secondo LSEG, grazie a un'impennata di transazioni per un valore di oltre 5 miliardi di dollari.

La prossima settimana porterà altri aggiornamenti cruciali per gli investitori. Oltre un terzo delle aziende dell'S&P 500 pubblicherà i risultati trimestrali nei prossimi giorni, inclusi grandi nomi come Apple, Meta Platforms e Alphabet. Mercoledì pomeriggio, la Federal Reserve annuncerà la sua ultima mossa sui tassi di interesse. Gli investitori si aspettano ampiamente un altro taglio.

Le azioni delle aziende americane stanno accumulando guadagni in quello che è già stato un anno molto positivo a Wall Street, sostenute da un contesto economico resiliente. L'indice S&P 500 è in rialzo del 17% da inizio anno, dopo un netto rimbalzo dopo le turbolenze seguite all'annuncio dei dazi da parte dell'amministrazione Trump ad aprile.

Alcuni temono che l'entusiasmo sia un po' troppo acceso. Gli scettici indicano segnali di eccitazione che potrebbero suggerire che il rally sia insostenibile: i trader stanno accaparrandosi azioni di fondi azionari con leva finanziaria e di aziende in difficoltà, mentre si stanno riversando sull'oro. Miliardi sono stati investiti nel finanziamento di un'infrastruttura di intelligenza artificiale, ma non è ancora chiaro come e quando si concretizzerà il ritorno di questo enorme investimento.

"Le persone stanno quasi fischiando oltre il cimitero di alcuni rischi reali per l'economia", ha affermato.Dean Smith, capo stratega di FolioBeyond. "È preoccupante."

Scrivete a Hannah Erin Lang all'indirizzo hannaherin.lang@wsj.com e a Ben Glickman all'indirizzo ben.glickman@wsj.com

Come leggete qui sopra, era lunedì 27 ottobre e dominava il “buon uomore”. E le ragioni erano almeno (almeno!) tre:

  1. Donald Trump e il Vertice con Xi

  2. la Federal Reserve

  3. i risultati trimestrali di cinque delle sette magnifiche Aziende del settore Tecnologia.

La settimana si apriva quindi con un rialzo (dello 1%) delle Borse, in ogni angolo del Mondo.

Dei tre temi che portavano il “buon umore”, quello di maggiore peso sembrava essere, lunedì, quello dei Big Tech e di “AI”. Che oggi approfondiremo nel Post.

Della Federal Reserve, abbiamo scritto abbondantemente la settimana scorsa. E ritorneremo su questo argomento poi la settimana prossima.

Del Presidente Trump e del Presidente XI non vale la pena di scrivere: è andata come al solito: tutti i media e tutti i social hanno offerto le prime pagine per scrivere del nulla.

Le due espressioni del visto, tenute da Trump e da XI durante la presentazione conclusiva alla stampa (la foto-opportunità) dicono tuttio e valgono più di mille parole.

Restiamo quindi sul tema delle trimestrali dei Big tech dei giorni scorsi (mercoledì e giovedì) e proviamo in primo luogo a riassumere quelle che erano le aspettative. Lo facciamo con il brano che abbiamo selezionato e tradotto, e che trovate più in basso.

In questo modo, noi di Recce’d vi aiutiamo a comprendere perché … non è poi successo nulla. Nel senso che in Borsa, venerdì sera 31 ottobre, i prezzi erano più bassi di lunedì sera 27 ottobre. Nonostante le trimestrali. Nonostante il taglio. Nonostante Trump e Xi.

E’ la fotografia di un mercato intossicato. Anche oggi, Recce’d vi illustra le trappole, e vi invita a non abboccare agli spot radiofonici.

Recce’d anche oggi vi invita a fare Detox, almeno nel vostro portafoglio, per preservare i vostri risparmi.

Un movimento del 2% oggi potrebbe portare a nuovi importanti record. Sia Apple (AAPL) che Microsoft (MSFT) sono a una sola sessione dal raggiungere una capitalizzazione di mercato di 4.000 miliardi di dollari, un traguardo finora raggiunto solo da un'altra azienda: Nvidia (NVDA). Altri record vengono siglati anche tra le Big Tech, che pubblicheranno i risultati questa settimana, come il traguardo di 3.000 miliardi di dollari di Alphabet (GOOG) (GOOGL) raggiunto solo un mese fa e quello di 2.000 miliardi di dollari di Meta (META) ad agosto.

Quadro generale: le continue notizie dal settore tecnologico, dove l'intelligenza artificiale sta impazzando, stanno rafforzando i nomi più importanti del settore e il mercato nel suo complesso. I nomi sopra menzionati costituiscono oltre un quarto dell'S&P 500 (SP500) e, se si includono altri attori dei Magnificent 7 come Amazon (AMZN) e Tesla (TSLA), tale percentuale sale a un terzo dell'indice di riferimento. Non è solo la promessa dell'intelligenza artificiale, ma la maggior parte del gruppo ha fondamentali aziendali sottostanti estremamente solidi.

Attività principali come AWS di Amazon, Google e Meta Advertising, l'ecosistema di prodotti di Apple e Microsoft Azure e Office hanno fatto sì che questi giganti non esitassero a sborsare miliardi per la rivoluzione dell'intelligenza artificiale. Queste aziende sono ben posizionate con riserve di liquidità anche prima di capitalizzare sul boom dell'intelligenza artificiale e gli investitori scommettono che le cose rimarranno così una volta che l'intelligenza artificiale sarà monetizzata in modo efficace. Infatti, le Big Tech mirano a dominare ogni aspetto della nuova era dell'intelligenza artificiale, assumendo i ruoli di costruttori, cervelli e sviluppatori.

Prospettive: i "costruttori" includono infrastrutture e hardware, come i data center di AWS (AMZN) e le GPU di Nvidia (NVDA). I "cervelli" sono i modelli e le piattaforme di intelligenza artificiale principali, come Gemini di Google (GOOGL) e Llama di Meta (META). Infine, ci sono gli "sviluppatori" e il livello applicativo dell'intelligenza artificiale, come Copilot di Microsoft (MSFT) e Intelligence di Apple (AAPL).

Il lettore medio, ma pure moltissimi operatori professionali del mercato finanziario, dopo avere letto queste righe di lunedì scorso … ci hanno capito nulla. Ma proprio zero: si capisce che c’è grande agitazione, eccitazione, euforia, ed un sacco di parole difficili (da rivoluzione ad ecosistema a piattaforma) ma intorno a che cosa, precisamente? Per fare che cosa, precisamente? Nessuno lo ha capito.

Molti però ci cadono dentro, e con tutti e due i piedi.

Recce’d, come sempre, è qui per questo: gratuitamente aiuta anche oggi il proprio lettore a comprendere meglio la realtà. E’ necessario capire, sempre, prima di investire. perché investire NON è semplice come dice quello spot radiofonico: è complicatissimo. E Recce’d sta qui, ogni giorno, anche per proteggere i nostri amici investitori da queste manipolazioni di massa. Nessun altro lo fa: non c’è la CONSOB, non c’è la Banca d’Italia e non c’è la magistratura italiana.

Recce’d vi protegge con mezzi molto semplici, la realtà.

Oggi, la realtà è quella che leggete qui sotto nell’immagine. Sono dati, questi, e non fantasie inventate su un futuro che probabilmente non arriverà mai.

Il testo dell’immagine lo trovate, tradotto per voi, subito sotto il grafico.

La maggior parte del pubblico non vede più il mercato azionario come un barometro dell'economia.

Questo cambiamento si è verificato dopo il COVID (marzo 2020, linea tratteggiata verticale), poiché la percezione del mercato azionario è cambiata. Vedere il pannello inferiore: la correlazione mobile è la più negativa di sempre (61 anni di dati mostrati).

Ciò significa che l'aumento dei prezzi delle azioni non fa più sentire la persona "media" meglio riguardo alle prospettive economiche, come è stato quasi sempre il caso nei 50 anni precedenti al 2020.

Perché?

  • Forse l'eccessiva stampa di denaro per "salvare" il mercato azionario nella primavera del 2020, mentre la maggior parte delle persone era ancora disoccupata e si stava rifugiando a casa, seguita dalla devastazione che l'inflazione del 9% nel 2022 ha causato alle finanze personali, li ha portati a pensare che il mercato azionario sia un gigantesco casinò separato dalla realtà economica

  • A questo si aggiunge che la maggior parte della popolazione ha un tasso di risparmio prossimo allo 0%. In parole povere, vivono di stipendio in stipendio e non hanno nulla da parte per comprare azioni.

  • E potrebbero anche non comprendere l'estrema concentrazione del mercato azionario (il 47% dell'S&P 500 è legato all'intelligenza artificiale), poiché le loro aziende non sono in forte espansione come quelle della Silicon Valley.

Il risultato è che gli indici azionari sono in forte espansione mentre il pubblico in generale pensa che l'economia sia terribile. Questo è diverso da ciò che abbiamo visto in molti decenni.

Oltre al grafico di cui avete appena letto qui sopra, ce ne è un secondo che, nella presente situazione di inizio novembre del 2025, ha una importanza notevole per tutti gli investitori. In questo grafico viene esposta la tesi sulla quale oggi sono fondati i rialzi della Borsa degli Stati Uniti, e per conseguenza anche di tutte le altre Borse del Pianeta. Deve quindi essere analizzato con attenzione: per comprendere se questa tesi, che muove le Borse, regge alla prova della realtà.

Il grafico lo vedete qui sotto, e subito dopo potete leggere, tradotto da noi, il testo che accompagna l’immagine.

APOLLO. La scintilla quotidiana. 19 OTTOBRE 2025

Effetti negativi della guerra commerciale compensati dal boom dell'industria aeronautica e dalla rinascita industriale

Torsten Slok, Capo economista di Apollo

Contrariamente ai timori diffusi sulle prospettive economiche, gli indicatori chiave del credito stanno diventando più rialzisti. I tassi di insolvenza per il debito e i prestiti ad alto rendimento hanno raggiunto il picco, così come i tassi di insolvenza per prestiti auto e carte di credito (vedere i grafici sottostanti).

Tre fattori spiegano perché i tassi di insolvenza delle aziende e di insolvenza dei consumatori stanno diminuendo:

1) L'incertezza legata alla guerra commerciale è significativamente inferiore al picco raggiunto durante il Giorno della Liberazione.

2) L'attuale boom dell'intelligenza artificiale sta stimolando la costruzione di data center e delle relative infrastrutture energetiche. Allo stesso tempo, l'aumento dei prezzi delle azioni sta sostenendo la spesa dei consumatori.

3) Gli investitori si stanno rendendo sempre più conto che ci troviamo nelle prime fasi di una rinascita industriale in settori quali l'aerospaziale, la difesa, la produzione, la biotecnologia e la tecnologia/automazione.

In sintesi, sebbene la guerra commerciale continui a rappresentare un leggero freno alla crescita, il suo impatto è più che compensato dai venti favorevoli derivanti dal boom dell'Al e dalla rinascita industriale.

Di conseguenza, cresce il rischio che la crescita economica riprenda a crescere nei prossimi trimestri.

Voi amici lettori che cosa ne pensate di questa tesi? Sta in piedi? Vi convince? Oppure è solo uno slogan? Solo uno slogan di vendita, per piazzare alla massa degli investitori titoli azionari a prezzi slegati dalla realtà, come diceva l’immagine precedente?

Per ciò che riguarda le vostre scelte di investimento sull’azionario, per ciò che riguarda la parte della vostra asset allocation dedicata all’azionario, per ciò che attiene alla vostra futura strategia di investimento, è solo questa la domanda che conta. L’unica domanda.

Che ci porta al contributo che segue: al centro del quale c’è esattamente questa domanda, alla quale ognuno di voi (volente o nolente) oggi è chiamato a rispondere. A rispondere attraverso i propri soldi. A rispondere attraverso le proprie scelte.

La domanda è: “questo è il mercato più stupido della Storia?”.

È davvero il "mercato azionario più stupido della storia" quello del mese di ottobre 2025?

Oh, è molto peggio di questo!

Un numero record di gestori patrimoniali di alto livello al mondo afferma ora che le azioni sono sopravvalutate, secondo un nuovo autorevole rapporto. Molti concordano sul fatto che il boom dell'intelligenza artificiale si sia trasformato in una pericolosa "bolla" di mercato.

Eppure, questi stessi gestori patrimoniali, che controllano centinaia di miliardi di dollari di investimenti per conto di fondi pensione, fondi comuni di investimento e altri investitori, ammettono di acquistare ancora queste azioni presumibilmente pericolose e sopravvalutate, anche ai prezzi attuali.

Stupido? Pazzesco? A voi la decisione.

I dati provengono dall'ultimo sondaggio BofA Securities Global Fund Managers, che ha intervistato 166 gestori patrimoniali in tutto il mondo che gestiscono 400 miliardi di dollari di investimenti.

  • "Un record netto del 60% degli investitori FMS [sondaggio tra i gestori di fondi] ha affermato che le azioni globali sono sopravvalutate", riporta il team strategico di BofA Securities. (Si noti che un "netto" del 60% significa che ben oltre il 60% dei gestori di fondi la pensa effettivamente così: il dato "netto" indica che il 60% è la percentuale totale di coloro che la pensano così, meno la percentuale di coloro che non sono d'accordo.)

  • "Un record del 54% degli investitori FMS a ottobre ha affermato di ritenere che i titoli basati sull'intelligenza artificiale siano in una bolla", hanno aggiunto gli strateghi. (Questo dato era lordo, non netto.)

  • Tuttavia, i gestori di fondi sono anche fortemente "sovrappesati" sui titoli azionari nei loro portafogli, il che significa che hanno un'allocazione azionaria maggiore rispetto ai loro benchmark.

In base ai vari parametri di BofA Securities, la scommessa sulle azioni non ha raggiunto livelli record, ma è elevata, certamente la più alta da febbraio (poco prima del fiasco dei dazi del "giorno della liberazione") e ben al di sopra della media degli ultimi 25 anni. Un ulteriore segnale di propensione al rischio è che i gestori di fondi affermano di investire maggiormente in titoli azionari particolarmente volatili, come quelli dei mercati emergenti e del settore bancario.

Detengono anche livelli molto bassi di liquidità e buoni del Tesoro.

Non sorprendetevi se, tra mesi o anni, le persone si guarderanno indietro e si chiederanno cosa stessero pensando.

Il sondaggio è stato condotto all'inizio di questo mese.

Perché queste persone continuano ad acquistare azioni quando le ritengono pericolosamente sopravvalutate? FOMO: paura di perdersi qualcosa. Nessun gestore di Fondi Comuni di Investimento vuole rischiare di perdere il lavoro abbandonando il carro un attimo prima.

Si diceva che i mercati rialzisti raggiungessero il picco nell'euforia. Ma forse sia i mercati rialzisti che quelli ribassisti raggiungono le loro conclusioni nella massima paura. Al minimo di un mercato ribassista o di un crollo, molti investitori sono riluttanti ad acquistare azioni, anche a prezzi bassi, per timore di ulteriori perdite.

Al culmine di un mercato rialzista, o di una bolla, hanno paura di vendere per timore di perdere ulteriori guadagni.

È degno di nota che il picco della bolla delle dot-com sia stato segnato dalla capitolazione dei ribassisti. Gli ultimi refrattari o si sono arresi e hanno iniziato ad acquistare azioni internet a prezzi massimi, oppure sono stati licenziati, per essere sostituiti alla guida dei loro fondi da sostenitori delle dot-com.

Quei giorni esaltanti tra la fine del 1999 e l'inizio del 2000 non sembrano più un'analogia assurda. Sulla base dell’indicatore di mercato di lunga data monitorato da Robert Shiller, professore di finanza a Yale e premio Nobel, l'indice statunitense S&P 500 ora viene scambiato a un prezzo folle, 40 volte superiore agli utili medi degli ultimi 10 anni (al netto dell'inflazione). La media storica è inferiore alla metà. L'unica altra volta in cui il famoso rapporto prezzo/utili di Shiller ha superato quota 40 è stata, per un breve periodo, nel 1999-2000.

Caspita.

In una notizia correlata, uno degli ultimi analisti di Wall Street che non era un rialzista furioso del superstock di intelligenza artificiale Nvidia ha semplicemente gettato la spugna e ha emesso una raccomandazione di acquisto.

"La bolla raggiunge il picco quando l'ultimo orso diventa rialzista", recita un vecchio adagio di Wall Street.

Ma gli investitori che vogliono rispondere vendendo le proprie azioni si trovano ad affrontare due problemi.

Il primo è che non ci sono garanzie. Forse questa volta sarà davvero diverso. Forse il mercato azionario passerà da un rapporto prezzo/utili di Shiller di 40 a uno di 80. Chissà? Se il futuro fosse perfettamente conoscibile, saremmo tutti ricchi. Il secondo è il tempismo: anche se si rivelasse una bolla e fosse seguita da un crollo o da un mercato ribassista, non c'è modo di sapere quando la musica si fermerà.

Come disse Warren Buffett a proposito della bolla delle dot-com – che riuscì a evitare con successo – gli investitori erano come Cenerentola al ballo, che ballava in una stanza senza orologi. Vorresti andartene prima di mezzanotte, ma quando è?

Il massimo che possiamo dire è che gli investitori comuni devono riflettere molto seriamente su quanto rischio stanno assumendo nei loro fondi pensione e in altri investimenti. Questo è probabilmente un buon momento per riequilibrare, riportando i livelli azionari ai livelli stabiliti in precedenza.

Cosa dovresti acquistare? Il sondaggio mostra anche che alcuni prodotti sono decisamente fuori moda tra i gestori patrimoniali: obbligazioni, Liquidità, titoli energetici e (come al solito) la borsa di Londra.

Le obbligazioni sono particolarmente degne di nota. L'allocazione obbligazionaria dei gestori di fondi "è crollata di 21 [punti percentuali], attestandosi al 24% di sottopeso netto", riporta BofA Securities. L'allocazione media alle obbligazioni è ora la più bassa da ottobre 2022, aggiunge. Quello sarebbe il momento in cui il mercato obbligazionario ha toccato il fondo per l'ultima volta.

Nessuno sa quando un mercato toccherà il fondo e inizierà a salire di nuovo, ma quando si tratta di obbligazioni, ci sono segnali di capitolazione ovunque. Come suggerisce il sondaggio di BofA, sarà difficile trovare gestori di fondi disposti a detenere obbligazioni a lungo termine. La maggior parte degli investitori sembra convinta che i governi occidentali, incluso il governo degli Stati Uniti ma anche molti altri, siano di fatto insolventi. Pensano che l'inflazione e i tassi di interesse dovranno aumentare per riportare sotto controllo il debito pubblico.

Potrebbero avere ragione. Ma nel mondo sviluppato, il Giappone ha il debito relativo più elevato, ben al di sopra di quello degli Stati Uniti. Eppure il Giappone non ha avuto problemi a sostenere il pagamento degli interessi. Invece dell'inflazione, ha avuto deflazione, e i tassi di interesse sulle obbligazioni a lungo termine sono stati molto bassi.

Alcuni sostengono che l'America potrebbe ottenere qualcosa di simile, almeno per quanto riguarda i tassi di interesse, rilanciando il programma di quantitative easing della Federal Reserve, acquistando titoli del Tesoro a lungo termine con denaro stampato per ridurre i tassi di interesse. Se ciò accadesse, sarebbe un bene per le obbligazioni.

Hoisington, un gestore di fondi obbligazionari molto rispettato, seppur eccentrico, con sede ad Austin, in Texas, è tra i pochi ad aver intrapreso la coraggiosa mossa contrarian di detenere titoli del Tesoro a lungo termine invece delle obbligazioni a breve termine, meno volatili. Tra le ragioni: ritengono che l'economia statunitense stia rallentando bruscamente e che Wall Street non abbia ancora recepito la notizia. E sottolineano che se l'IA manterrà le sue promesse economiche (come ipotizzano gli investitori azionari), sarà un male per il mercato del lavoro.

"L'IA sta rendendo obsoleti interi settori dell'economia, come i call center e le operazioni di inserimento dati", sottolinea Hoisington in una recente nota. "L'IA riduce la domanda di lavoro automatizzando compiti cognitivi e ripetitivi in ​​un'ampia gamma di competenze del settore dei servizi. ... Un dipendente dotato di IA ora sostituisce diverse persone, con conseguente riduzione delle esigenze di assunzione. L'IA consente inoltre alle aziende di automatizzare i ruoli di media competenza, abbassando così gli stipendi e spostando le scelte dalle persone al software".

Anche questo sarebbe ribassista per l'economia e positivo per le obbligazioni. E se l'IA non ha un impatto enorme, cosa ci fanno tutti quei titoli basati sull'IA nella stratosfera del mercato azionario?


Questo contributo, che avete appena letto, è chiaro e semplice: vi aiuterà a rispondere alla domanda che oggi sta al centro di ogni vostra decisione sull’azionario, sulla asset allocation e sulla futura strategia di investimento.

In questo contributo, come avete visto, si parla un linguaggio “semplice” proprio come dice lo spot di Fineco che vi abbiamo fatto ascoltare in apertura. Ma il contributo diventa per voi utile perché vi aiuta a comprendere che la realtà nella quale investite il vostro risparmio non è semplice. per nulla semplice. Vi aiuta a comprendere che i titoli dei Big Tech salgono, ma NON salgono per il fatto che “le Aziende vanno bene”. Non è questa, la realtà. E ricordate che la realtà vince sempre.

Detto questo, come ben sapete (e lo abbiamo sottolineato più volte) il metodo rigoroso di Recce’d ci impone di non essere mai, per alcuna ragione, pessimisti oppure ottimisti a proposito dei mercati finanziari. Tutta la nostra gestione è fondata sul non essere ottimisti né pessimisti: soltanto realisti. Massima attenzione sulla realtà, sui fatti e sui dati. Massima distanza da tutti gli slogan pubblicitari, dai social, dai titoli strillati dei quotidiani, dei TG e dei GR.

In sintesi, possiamo garantire ai nostri Clienti che nessuno in Recce’d è affascinato da Cassandra.

Non siamo delle Cassandre, e non operiamo sui nostri portafogli modello sulla base di scenari catastrofici. Nessuno ci paga per agire come Cassandre: i Clienti di Recce’d pretendono invece una quotidiana attenzione alla realtà, ed uno scenario di riferimento che viene quotidianamente modificato, rivisto e corretto.

Ovviamente, però, i Clienti di Recce’d ci pagano anche per non cascare come polli nelle trappole dei media, dei social, delle Reti di promotori finanziari e delle banche internazionali di investimento: in quella rette di inganni e falsi segnali che (questa è realtà, non fantasia) portò la massa degli investitori ai disastri finanziari del 2000 e del 2007-2009.

E noi, questo, al nostro Cliente lo possiamo garantire: a differenza di chi predica che “investire è semplice”.

Chiudiamo il nostro lavoro, dedicato alla settimana appena conclusa, alle trimestrali dei Big Tech, alle Borse ed a … Cassandra, con il testo che leggete di seguito, che mette insieme il 1929, appunto Cassandra, e … il mio parrucchiere.

Come riflesso del rialzo triennale del mercato azionario, gli americani sembrano essere ampiamente ottimisti, nonostante i sondaggi suggeriscano il contrario.

Questo ha contribuito in qualche modo ad alimentare il boom economico del dopoguerra e, nonostante le occasionali recessioni, crisi finanziarie e decine di correzioni di mercato lungo il percorso, il mercato si è, per la maggior parte, dimostrato una scommessa affidabile a lungo termine per investitori e pensionati. Persino una pandemia globale, durante la quale sono morti oltre 1 milione di americani, si è rivelata un semplice incidente di percorso. Eppure, continuano ad arrivare gli allarmi sullo spettro del 1929, un'epoca prima che esistessero la Securities and Exchange Commission e la Federal Deposit Insurance Corporation.

Intervistato da MarketWatch all'inizio di questo mese, l'analista veterano di Wall Street Jon Wolfenbarger ha affermato che le azioni statunitensi potrebbero essere sull'orlo del più grande mercato ribassista mai visto dai tempi di – indovinate un po' – la Grande Depressione. Ha citato un sentiment di mercato estremamente rialzista, la debolezza economica, i livelli di debito in aumento vertiginoso e gli strumenti politici limitati, che difficilmente saranno aiutati dall'incerto contesto economico globale e dalla serie di dazi introdotti dal presidente Donald Trump in una ridefinizione delle alleanze politiche del dopoguerra tra Stati Uniti ed Europa occidentale.

"Ho iniziato a guardare la storia e, sapete, ci sono voluti 25 anni perché il mercato tornasse al picco del 1929, e io non ho 25 anni", ha detto Wolfenbarger, che ha poco più di 50 anni, alla mia collega Barbara Kollmeyer.

"Qualsiasi investimento può scendere dal 50% al 90% e può rimanere basso per decenni, almeno 10-20 anni".

Non ha torto, ma poche persone vivono la loro vita e seguono una strategia di investimento che ha come scenario principale lo scenario peggiore.

L'ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale, Gita Gopinath, ha affermato che un crollo degli Stati Uniti potrebbe spazzare via 35.000 miliardi di dollari di ricchezza globale.

Indici fondamentali

Laddove un analista vede un legittimo rally alimentato dall'intelligenza artificiale, un altro vede una familiare follia. Wolfenbarger, tra l'altro, non ha torto sul periodo di ripresa, ma è più complicato di quanto 25 anni lascino intendere. Dopo il crollo del mercato azionario del 1929, quando alla fine perse circa il 90% del suo valore, il Dow Jones Industrial Average impiegò più di un quarto di secolo (fino al 23 novembre 1954) prima di chiudere al di sopra del livello raggiunto prima di quel fatidico giorno. Altri hanno calcolato che in realtà ci vollero dai cinque ai dieci anni, tenendo conto della deflazione e dei dividendi reinvestiti.

Una Cassandra più enigmatica, il giornalista finanziario e autore Andrew Ross Sorkin, ha lanciato un avvertimento assolutamente incerto agli investitori durante una recente intervista al programma "60 Minutes" della CBS. Sorkin ha affermato: "Avremo un crollo, non so dirvi quando, né quanto profondo". Ha citato i segnali di una bolla, l'avidità e l'allentamento delle normative finanziarie come punti di riferimento per il passato e il presente. (Sta anche promuovendo un libro, intitolato "1929", quindi ha motivo di tracciare parallelismi). Anche la direttrice del FMI Kristalina Georgieva ha messo in guardia dall'influenza destabilizzante dell'intelligenza artificiale.

Le leggi della fisica creano un'energia nervosa: più si sale, più si scende. Sembra imprudente, persino scortese, non consigliare cautela.

Nell'autopsia della Grande Depressione: ci sarà sempre qualcuno come l'economista Roger Babson che potrà dire: "Ve l'avevo detto". Altri, come l'economista di Yale Irving Fisher, affermarono con ignominia che i prezzi pre-crisi avevano raggiunto "un plateau permanentemente elevato", secondo un articolo del 16 ottobre 1929 pubblicato sul New York Times. Naturalmente, gli economisti del 2025 preferirebbero appartenere al "bailiato di Babson" piuttosto che al "gregge di Fisher". Ma questo rally ricorda davvero il 1928? In un certo senso, sicuramente: le leggi della fisica creano un'energia nervosa: più si sale, più si scende.

Sembra imprudente, persino scortese, non consigliare cautela, piuttosto che diventare ciecamente parte del gregge. Con questo in mente, è sembrato appropriato chiedere a Timothy Crack, un economista che vive in Nuova Zelanda, un paese con più pecore che persone. Descrive il mercato come "un altro punto nella lista secolare di bolle parossistiche nei prezzi delle attività. Sappiamo tutti che gli esseri umani hanno una pessima storia di inseguimento dei prezzi delle azioni con un ottimismo tale da spingerli oltre livelli ragionevoli, dati fondamentali come utili e dividendi. Per gli standard storici, l'S&P 500 è stato fuori linea con i rapporti fondamentali storici per molto tempo", ha dichiarato a MarketWatch.

Predizioni eretiche

"Siamo lentamente arrivati ​​al punto in cui i prezzi delle case, i prezzi dell'oro, i prezzi del Bitcoin, i livelli dell'S&P 500 e persino i prezzi dei generi alimentari sembrano essere stati gonfiati a livelli che continuano a catturare l'attenzione dei media", ha affermato Crack. "La mia segretaria e un collega mi hanno chiesto ieri se avrebbero dovuto acquistare oro fisico; la prossima volta sarà il mio parrucchiere. Gli investitori al dettaglio hanno ampio accesso al trading online, le commissioni sono diminuite, gli ETF che ti consentono di prendere posizioni in asset a cui in precedenza era difficile accedere. Un amico la chiama la "bolla del tutto".

A proposito di previsioni ribassiste, questa sembra inequivocabilmente pessimistica. (Personalmente, spero che i parrucchieri di tutto il mondo continuino a familiarizzare con i rischi e i benefici delle varie classi di attività). Ma con l'avvicinarsi del centenario del crollo del 1929 e della Grande Depressione che incenerirono fortune, misero in ginocchio l'America e sconvolsero la fede apparentemente infallibile in rendimenti azionari infiniti, il tamburellare di un'altra catastrofe in stile 1929 è diventato quasi eretico. Questi commentatori sono tra le numerose Cassandre che condividono la loro opinione e che hanno espresso le loro preoccupazioni.

Un'apparente somiglianza tra due eventi non correlati, un test sulla carta pergamena, ci rende inclini a profezie di disastro apparentemente infinite e troppo sicure di sé.

Siamo ossessionati dai momenti leggendari della storia in cui i ricchi incontrarono la loro Waterloo (o sfilarono sui ponti del Titanic ignari delle gelide profondità che li attendevano). Se parliamo del 1929, forse crediamo che eviteremo un destino simile. Rivisitare questi momenti ci dà l'illusione di controllo e, in linea di principio, ci separa dal branco. Cercare di confrontarci e tracciare parallelismi con eventi traumatici, anche quelli precedenti alla nostra presenza su questo pianeta, può aiutarci a guarire da altre recenti fratture nella nostra vita finanziaria ed emotiva: l'11 settembre, il crollo finanziario del 2008, la pandemia.

Teoria dell'avversione alla perdita

Una tecnologia rivoluzionaria rivolta al consumatore come l'intelligenza artificiale e lo spostamento delle ali geopolitiche potrebbero non essere sufficienti da soli a causare un crollo in stile 1929. Il settore tecnologico, che rappresenta oltre un terzo dell'indice S&P 500, è redditizio. Gli analisti che consigliavano cautela durante i primi giorni dei "Magnifici Sette" si sono rivelati sbagliati, per ora. Nel frattempo, gli esperti concordano generalmente sul fatto che una crisi bancaria, il crollo del mercato del lavoro e una bolla immobiliare siano fattori predisponenti per un atterraggio brusco.

George Soros aveva messo in guardia contro una "bolla di Internet" nel 1999, prima della crisi tecnologica del 2000, e una "superbolla" a luglio 2008, due mesi prima del crollo di Lehman Brothers. (Ha descritto l'intelligenza artificiale come un "pericolo mortale" per le società aperte, ma non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sul mercato attuale). Siamo tutti delle Cassandre. The Moneyist, il sottoscritto, ha fatto paragoni tra il mercato del lavoro odierno e quello degli anni '90: un calo dei posti di lavoro impiegatizi, un calo della fiducia dei consumatori, un aumento della disoccupazione e un restringimento dei posti di lavoro temporanei. Di nuovo, sembra convincente, su carta pergamena.

Sì, siamo tutti delle Cassandre. Daniel Kahneman, il premio Nobel scomparso l'anno scorso, e il suo defunto collega, lo psicologo cognitivo-matematico Amos Tversky, hanno osservato nel loro lavoro sulla "teoria della prospettiva" che quando si assumono rischi, soprattutto negli investimenti, gli esseri umani sono più inclini a evitare perdite che a realizzare guadagni. Da qui le nostre attenzioni e previsioni sui potenziali disastri.

Che persistono perché, come può testimoniare George Soros, ogni tanto si rivelano esatte.

Valter Buffo
Detox. La Federal Reserve 2026
 

Scrivono i social e i quotidiani, dicono al TG ed i “consulenti pagati con le retrocessioni su polizze e Fondi Comuni” che:

“tutti i mercati sono ai massimi”.

A noi tutti raccontano di “record”. Ma nessuno, sui social oppure al GR, sui quotidiani oppure al TG, vi informa di un “record” che è molto più importante per il presente ed il futuro dei vostri risparmi.

Sarà forse perché non conta nulla? Oppure, invece, è una potente “arma di distrazione di massa”?

Si tratta forse di un UFO, di cui si parla tanto, ma che nessuno ha visto e documentato?

No no no: qui il fatto è ampiamente e dettagliatamente documentato.

Leggete un po’ qui.

Sinteticamente, facciamo per voi il punto a proposito di questa situazione, partendo dalla notizia di pochi giorni fa.

38.000.000.000.000...

Sono un sacco di zeri e di perdite di cui preoccuparsi. Il debito federale lordo degli Stati Uniti ha appena superato i 38.000 miliardi di dollari, solo due mesi dopo aver superato i 37.000 miliardi. Per chi tiene il conto, si tratta del tasso di aggiunta di 1.000 miliardi di dollari più rapido al di fuori di una pandemia, con traguardi fiscali poco incoraggianti che ora vengono aggiunti al doppio del ritmo registrato dal 2000, secondo la Peterson Foundation.

Citazione: "Tre declassamenti consecutivi del rating creditizio degli Stati Uniti dovrebbero allarmare i leader eletti, ma il nostro debito nazionale rimane su una traiettoria insostenibile", ha affermato Michael Peterson, CEO dell'organizzazione con sede a Washington, che promuove la riduzione del deficit. "Gli Stati Uniti si ritrovano ora con un rating creditizio inferiore ai loro ex omologhi AAA (come Australia, Danimarca e Germania) e si trovano invece tra nazioni come Austria, Nuova Zelanda e Francia. Tuttavia, anche tra queste nazioni, gli Stati Uniti rappresentano ancora un'anomalia fiscale, dato che hanno circa il 119% del debito lordo sul PIL e un deficit annuo di oltre il 7%."

Questi numeri scoraggianti emergono nonostante sforzi come il DOGE, nonché una generale mancanza di interesse nel contenere la spesa. Nessuno vuole intaccare programmi di assistenza sociale popolari come Medicare, Medicaid e Previdenza Sociale, né limitare le spese per la difesa a livelli più appropriati. Anche leggi come il "One Big Beautiful Bill" hanno aggravato il problema, mentre il pagamento degli interessi è ora diventato la terza spesa mensile più grande per il governo federale. Non sorprende che i beni rifugio come l'oro abbiano subito un crollo quest'anno (nonostante il forte calo di martedì), insieme a un significativo indebolimento del dollaro, e qualsiasi aumento dei rendimenti dei titoli di Stato può danneggiare la crescita economica se i livelli rimangono elevati.

Approfondimento: le preoccupazioni relative al crescente problema del debito pubblico emergono mentre il governo rimane chiuso in uno shutdown che è appena diventato il secondo più lungo mai registrato. Gran parte di questa lotta riguarda le tipologie di spesa fiscale, inclusa l'estensione o meno dei crediti d'imposta potenziati previsti dall'Affordable Care Act, ma le spese sono state fuori controllo, indipendentemente dal partito al potere. Oltre a nuove forme di entrate, il governo deve attuare riforme concrete o emanare limiti di spesa per generare risparmi strutturali, il che richiederà impegno e un ampio consenso da entrambe le parti.

Per tutti noi investitori, ciò che è davvero importante è comprendere dove ci sta portando questo stato delle cose.

Verso quale scenario. Per poi fare le migliori scelte di portafoglio, sia per la asset allocation attuale, sia per la futura strategia di investimento.

Per tutti noi investitori, oggi è necessario esaminare lo scenario del default: non stiamo parlando dell’Argentina, bensì degli Stati Uniti e di altre economie cosiddette “Sviluppate”.

Come tutti voi sapete, episodi di default in Paesi cosiddetti “Sviluppati” non sono, per nulla, una novità.

Ogni volta che il governo degli Stati Uniti ha dovuto affrontare una crisi finanziaria esistenziale nella sua storia, ha scelto di cambiare le regole piuttosto che onorare pienamente le sue promesse... di solito sostituendo l'oro o l'argento con la carta.

Dalla Guerra del 1812, quando i pagamenti degli interessi furono saltati, ai Greenback di Lincoln, all'annullamento delle clausole sull'oro da parte di Roosevelt nel 1933, alla fine del rimborso dell'argento nel 1968 e alla chiusura della finestra sull'oro da parte di Nixon nel 1971, Washington è già stata inadempiente cinque volte, spesso modificando i termini di pagamento piuttosto che ammettere il fallimento totale.

Non c'è dubbio che questi episodi siano stati inadempimenti. Affermare il contrario sarebbe come cercare di modificare unilateralmente i termini del mutuo o della carta di credito denominati in dollari in modo da poter pagare i propri debiti con pesos argentini o dollari dello Zimbabwe, e poi fingere che in qualche modo non si tratti di un inadempimento.

Il governo degli Stati Uniti sta essenzialmente dicendo ai suoi creditori la stessa cosa che disse una volta Darth Vader: "Sto modificando l'accordo. Pregate che non lo modifichi ulteriormente".

Proprio come in Star Wars, il messaggio è chiaro: Washington cambierà le regole ogni volta che sarà necessario. I creditori potranno essere pagati, ma non nel modo promesso, e certamente non nel modo che si aspettavano.

Oggi, il governo degli Stati Uniti si trova di nuovo in una situazione finanziaria esistenziale. Il debito pubblico è ingestibile, la spesa federale è bloccata in un percorso di crescita e gli interessi su quel debito hanno già superato i mille miliardi di dollari all'anno. A questo ritmo, gli interessi potrebbero presto superare la previdenza sociale come voce di bilancio più importante del governo federale.

Le spese più consistenti sono quelle relative a prestazioni sociali come la previdenza sociale e Medicare. Nessun politico le taglierà, anzi, continueranno a crescere. Decine di milioni di Baby Boomer, quasi un quarto della popolazione, stanno andando in pensione. Tagliare i sussidi è un suicidio politico.

Anche la spesa per la difesa, già enorme, è off-limits. Con il contesto geopolitico più precario dalla Seconda Guerra Mondiale, la spesa militare non sta diminuendo, anzi, sta aumentando.

I programmi di welfare sono altrettanto intoccabili.

L'unico modo per ridurre significativamente la spesa sarebbe tagliare i sussidi, smantellare lo stato sociale, chiudere centinaia di basi militari straniere e rimborsare gran parte del debito nazionale per abbassare il costo degli interessi. Ciò richiederebbe un leader disposto a ripristinare una Repubblica Costituzionale limitata.

Tuttavia, questa è una fantasia completamente irrealistica. Sarebbe sciocco scommettere che ciò accada.

Ecco il punto: Washington non può nemmeno rallentare il tasso di crescita della spesa, figuriamoci ridurlo.

Le spese non possono che aumentare, molto.

Nemmeno le entrate fiscali salveranno la situazione.

Anche se le aliquote fiscali salissero al 100%, non basterebbero a fermare la crescita del debito.

Secondo Forbes, negli Stati Uniti ci sono circa 806 miliardari con un patrimonio netto complessivo di circa 5,8 trilioni di dollari.

Anche se Washington confiscasse il 100% della ricchezza dei miliardari, finanzierebbe a malapena un solo anno di spesa e non farebbe nulla per fermare l'inarrestabile traiettoria di debito e deficit.

Ciò significa che la spesa per interessi continuerà a crescere vertiginosamente. Ha già superato il bilancio della difesa ed è sulla buona strada per superare presto la previdenza sociale. A quel punto, gli interessi potrebbero consumare la maggior parte delle entrate fiscali federali.

I vecchi trucchi contabili e i giochi di denaro fiat non nasconderanno la realtà ancora per molto.

In breve, l'impennata degli interessi rappresenta ora una minaccia urgente per la solvibilità del governo degli Stati Uniti. Non ho dubbi che Washington si ritroverà presto di nuovo nell'impossibilità di far fronte ai propri obblighi.

Quindi la domanda ora è: come sarà il sesto default?

Non credo che il sesto default sarà un evento drammatico, di un giorno come nel 1933 o nel 1971. Sarà un processo al rallentatore: una costante svalutazione del dollaro per coprire un debito che non può essere onorato onestamente. E proprio come in passato, Washington e i suoi lacchè nei media non ammetteranno mai che si tratti di un default.

A differenza del passato, gli Stati Uniti non hanno più obbligazioni legate all'oro o all'argento. Tutto è denominato in valuta fiat che la Federal Reserve può creare senza limiti.

I meccanismi sono diversi, ma il risultato sarà lo stesso: i creditori saranno fregati con denaro di valore molto inferiore a quanto promesso.

Dopo il default del 1971, che recise l'ultimo legame del dollaro con l'oro, la promessa tacita era che Washington sarebbe stata un amministratore responsabile della sua valuta fiat.

Al centro di quella promessa c'era l'illusione che la Federal Reserve avrebbe agito indipendentemente dalle pressioni politiche. L'idea era semplice: senza almeno l'apparenza di indipendenza, gli investitori avrebbero visto la Fed per quello che è – un braccio finanziario per politici spendaccioni – e la fiducia nel dollaro sarebbe crollata.

Quell'illusione ora si sta sgretolando.

Il governo deve emettere quantità sempre maggiori di debito mantenendo bassi i tassi per contenere l'impennata dei costi degli interessi.

È qui che entra in gioco la Federal Reserve.

Messa alle strette, Washington costringerà la Fed a tagliare i tassi, acquistare titoli del Tesoro e lanciare ondate successive di misure di politica monetaria (quantitative easing). Queste misure svaluteranno il dollaro, distruggendo al contempo l'illusione dell'indipendenza della Fed.

Ecco perché credo che il crollo della credibilità della Fed come istituzione indipendente definirà il sesto default.

Uno dei segnali più chiari è la spinta di Trump a consolidare il potere sulla Fed.

Sia chiaro: le banche centrali non sono mai state "indipendenti". Esistono per sottrarre ricchezza al pubblico attraverso l'inflazione e convogliarla verso chi ha legami politici. L'indipendenza della Fed è sempre stata un miraggio, e ora sta rapidamente scomparendo.

Trump sta semplicemente facendo ciò che farebbe qualsiasi leader nella sua posizione. Nessuno crede che la banca centrale cinese sia indipendente da Xi. Se una qualsiasi nazione dovesse affrontare una crisi simile, la sua banca centrale si adeguerebbe alle richieste del governo.

Mi aspetto che Trump otterrà ciò che vuole dalla Fed. La Fed si piegherà alle sue richieste, svalutando il dollaro per evitare che il peso del debito sfugga al controllo. O costringerà Powell a mettersi in riga o lo sostituirà direttamente, riempiendo la Fed di fedelissimi. Il risultato sarà una stampa di moneta su una scala mai vista prima.

Gli sforzi di Trump stanno già iniziando a dare i loro frutti. A Jackson Hole, Powell ha ammesso che "il mutato equilibrio dei rischi potrebbe giustificare un adeguamento della nostra politica monetaria", segnalando che i tagli dei tassi potrebbero arrivare presto.

Ed è esattamente quello che è successo. Il 17 settembre, la Fed ha tagliato i tassi di 25 punti base e ha indicato che ne seguiranno altri.

Inoltre, Stephen Miran, l'ultimo candidato di successo di Trump al Consiglio della Federal Reserve, ha promosso l'idea di quello che definisce il "terzo mandato" della Fed.

Tradizionalmente, la Fed ha due mandati: stabilità dei prezzi e massima occupazione. Il terzo mandato proposto da Miran consisterebbe nel "moderare i tassi di interesse a lungo termine".

Ciò che ciò significa in realtà è che la Fed finanzierebbe apertamente il governo federale creando nuovi dollari per acquistare debito a lungo termine, mantenendo i rendimenti artificialmente bassi. In altre parole, il cosiddetto terzo mandato è un'ammissione esplicita che la Fed non è più indipendente. Diventerebbe uno strumento politico utilizzato per finanziare la spesa pubblica.

Senza questo supporto, un'ingente spesa federale inonderebbe il mercato di titoli del Tesoro, spingendo i tassi di interesse molto più in alto. Ma con l'intervento della Fed, Washington può continuare a indebitarsi mantenendo bassi i tassi, almeno per un po'. Il problema è che questo avviene a costo di una svalutazione del dollaro. Alla fine, questa svalutazione costringerà comunque gli investitori a richiedere rendimenti più elevati, il che non farà che aggravare il problema.

Credo che sia solo questione di tempo prima che la Fed capitoli completamente, infrangendo una volta per tutte l'illusione di indipendenza.

Mike Wilson, CIO di Morgan Stanley, lo ha recentemente reso esplicito:

"La Fed ha l'obbligo di aiutare il governo a finanziarsi".

"Sarei nervoso se la Fed fosse totalmente indipendente. La Fed deve aiutarci a uscire da questo problema di deficit".

Questa è l'essenza del sesto default.

Non arriverà attraverso mancati pagamenti o contratti riscritti. Arriverà attraverso il crollo del mito dell'indipendenza della Fed. Una volta che la politica monetaria sarà pienamente politica, le ricadute saranno enormi: per il dollaro, per i titoli del Tesoro e per l'oro.

E non sta accadendo in modo isolato. Mentre Washington sprofonda sempre più nel debito, il resto del mondo vede esattamente cosa sta per succedere. Le banche centrali si stanno muovendo per proteggersi. Credo che sappiano che la svalutazione è inevitabile e non intendono rimanere con il cerino in mano. La loro risposta è stata chiara: abbandonare le promesse cartacee e tornare all'oro.

In breve, il sesto default non sarà una notizia di prima pagina, sarà un'emorragia.

Quando il dollaro sarà silenziosamente svalutato e l'"indipendenza" della Fed finalmente si incrinerà, sarà troppo tardi per riposizionarsi.

Se avete letto fin qui, avete già la sensazione che la finestra si stia chiudendo. Non aspettate la conferma dal telegiornale della sera.

La domanda ora non è se, ma come si svilupperà questa crisi e se saremo noi a subirne le conseguenze.


Come avete appena letto, circola da mesi una lettura dei fatti correnti che porterebbe al crollo del valore del dollaro USA.

Sui mercati finanziari, però, questo crollo tarda a manifestarsi, e nelle ultime settimane se avete seguito i mercati avete visto che il dollaro USA in realtà si è rafforzato.

Mentre il rendimento dei Titoli di Stato, che tutti ci annunciano in discesa, resta agganciato al livello del 4%, che è il medesimo del 2023 (ovvero prima dei tanti tagli al costo ufficiale del denaro negli Stati Uniti, come vedete sotto nel grafico.

Altri, invece, hanno visto nel rialzo del prezzo dell’oro proprio il primo effetto della debolezza del dollaro USA.

Noi non la leggiamo in questo modo, la corsa all’oro, come è stato spiegato qui sette giorni fa.

Certamente, come si dice nell’immagine che segue, è un forte segnale: ma ci segnala un’altra cosa.


La settimana scorsa, e proprio qui nel Blog, noi di Recce’d abbiamo esposto le ragioni per le quali NON abbiamo oggi nel nostro scenario di riferimento un crollo del valore del dollaro USA. mentre abbiamo, nel nostro scenario di riferimento, altri crolli. Ma non del dollaro USA.

Quella in cui ci troviamo tutti è una crisi della fiducia e del debito, come abbiamo dimostrato nel Post di sette giorni fa.

Questi temi saranno sulle prime pagine per tutta la settimana prossima, quando l’attenzione dei mercati finanziari sarà concentrata sulla riunione della Federal Reserve che si terrà martedì e mercoledì.

l’Amministrazione Trump ha beneficiato di una lunga pausa, in ottobre: un mese di silenzio totale: zero dati economici per tutto ottobre fino a ieri. Grazie a questo, Trump ha potuto spingere su Gaza, Ucraina e Cina. Per alcune settimane, gli operatori di mercato e gli investitori si sono mossi alla cieca, senza avere idea di dove stiamo andando.

Soltanto ieri, per la prima volta nel mese di ottobre, ci è stato fatto conoscere un dato importante: ovvero l’indice CPI dell’inflazione, che sui 12 mesi resta inchiodato al 3%. Non scende più, da inizio anno.

L’inflazione sta al 3%, il costo del denaro oggi sta al 4%. Potrebbe scendere ancora, il costo del denaro negli Stati Uniti? E di quanto?

Anche per questo, la riunione di martedì e mercoledì prossimi risulta ancora più carica di incertezze, rispetto al solito.

Aggiungete che nel maggio 2026 scadrà il mandato di Powell: la ricerca di un sostituto è stata avviata mesi e mesi fa, ma nonostante i roboanti annunci iniziali, nessuna decisone fino ad oggi è stata presa.

La temperatura intorno alla Federal Reserve, per questo, salirà ogni giorno fino al prossimo maggio.

Può essere utile al nostro lettore, in vista della riunione di martedì e mercoledì, rileggere ciò che fu scritto (sul Wall Street Journal) poco più di un mese fa, dopo il taglio di 0,25%.


WASHINGTON—Il governo degli Stati Uniti spende circa 1.000 miliardi di dollari all'anno in interessi. La Federal Reserve ha appena abbassato i tassi di interesse. Ciò significa che gli Stati Uniti otterranno enormi risparmi, giusto?

Non proprio. Ecco perché.

Sì, il taglio di un quarto di punto della Fed ridurrà probabilmente i costi di indebitamento degli Stati Uniti per i buoni del Tesoro che vengono emessi frequentemente. Questi hanno una durata minima di quattro settimane, quindi i tassi che si muovono con il tasso obiettivo della Fed possono tradursi rapidamente in minori costi per il governo.

Ma quasi l'80% del debito federale è composto da titoli e obbligazioni con scadenze originariamente comprese tra due e trent'anni. Questi tassi di interesse erano generalmente bloccati al momento della vendita. Anche se i tassi a lungo termine riflettessero immediatamente il taglio della Fed, ci vorrebbero anni prima che nuovo debito con costi di indebitamento più bassi sostituisca titoli e obbligazioni in scadenza.

"Non si modificheranno drasticamente i deficit di bilancio che si avvicinano ai 2.000 miliardi di dollari", ha affermato Jessica Riedl, senior fellow del Manhattan Institute, di orientamento conservatore. "Si tratta di una variazione dei tassi troppo piccola su una quota troppo piccola del nostro debito totale".

Inoltre, i costi di indebitamento a lungo termine negli Stati Uniti non si muovono necessariamente in linea con i tassi a breve termine. Gli investitori obbligazionari valutano i rischi di inflazione, le minacce all'indipendenza della Fed e le politiche fiscali quando valutano il rischio di concedere prestiti agli Stati Uniti su 10 o 30 anni. Ciò può comportare una curva dei rendimenti più ripida e un premio a termine più elevato, con il governo che paga significativamente di più per indebitarsi a lungo termine rispetto a periodi più brevi.

Il nervosismo per le prospettive fiscali degli Stati Uniti e l'incertezza che ha portato alla trattativa "sell America" ​​di quest'anno domineranno i mercati obbligazionari più dei tagli dei tassi a breve termine, ha affermato Jared Bernstein, presidente del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca sotto la presidenza di Joe Biden.

"Gli investitori sembrano ancora cercare un premio a termine quando ci prestano denaro", ha affermato.

Il costo annuale degli interessi negli Stati Uniti è una parte sempre più importante del bilancio federale e ora ammonta a circa 1 dollaro su 7 di spesa. Negli ultimi 50 anni, in media, il costo degli interessi ha rappresentato circa la metà della spesa militare. Oggi, gli Stati Uniti spendono più per gli interessi che per la difesa.

Gli Stati Uniti hanno accumulato debito a causa dei tagli fiscali, dell'aumento della spesa per i programmi di welfare e delle risposte di emergenza alla pandemia di coronavirus e alla crisi finanziaria del 2008-2009. Il debito pubblico in percentuale del prodotto interno lordo si sta avvicinando al 100% e al massimo del 106% del dopoguerra.

Questo crescente accumulo di debito rende il governo degli Stati Uniti più sensibile ai tassi di interesse rispetto al passato. Un aumento di 0,1 punti percentuali di tutti i tassi di interesse costerebbe al Paese circa 351 miliardi di dollari in un decennio, secondo il Congressional Budget Office. Si tratta di una cifra superiore a quella che gli Stati Uniti risparmieranno grazie alla nuova legge fiscale che elimina le agevolazioni per i veicoli elettrici e i pannelli solari residenziali.

Il Presidente Trump ha indicato la riduzione dei tassi di interesse della Fed come un modo per ridurre i pagamenti per il servizio del debito, ma qualsiasi cambiamento significativo richiederebbe di mantenere bassi i tassi per anni, sia per il debito a breve che a lungo termine.

"Dato che il tasso è alto, dobbiamo pagare di più per il debito", ha dichiarato Trump a giugno, criticando il Presidente della Fed Jerome Powell per la sua lentezza nel tagliare i tassi.

Qualsiasi risparmio governativo sarà probabilmente inferiore alle speranze dichiarate da Trump. Ha suggerito che gli Stati Uniti potrebbero risparmiare 900 miliardi di dollari all'anno se la Fed abbassasse i tassi di 3 punti percentuali, un taglio 12 volte superiore a quello di mercoledì. Tale stima di risparmio presuppone che i costi medi di indebitamento diminuiscano drasticamente parallelamente al tasso della Fed.

Il rendimento del titolo di Stato di riferimento a 10 anni si è attestato per lo più tra il 4,0% e il 4,7% quest'anno. Di recente è sceso, poiché gli investitori hanno scontato il taglio dei tassi da parte della Fed. Il rendimento è sceso mercoledì dopo che la Fed ha annunciato altri due tagli dei tassi, per poi risalire oltre il 4,1%.

Un'opzione per ridurre i costi governativi è che il Dipartimento del Tesoro modifichi il mix di scadenze del debito emesso, utilizzando più titoli a breve termine quando i tassi sono bassi.

Stephen Miran, capo economista di Trump e ultima scelta per il Consiglio dei Governatori della Fed, ha sostenuto lo scorso anno che l'amministrazione Biden ha fatto troppi prestiti a breve termine. Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha avanzato un'argomentazione simile.

Quest'anno, i funzionari del Tesoro hanno lasciato intendere che potrebbero aumentare i prestiti a breve termine, suggerendo che i tassi di interesse sul debito a lungo termine sono troppo alti e che la crescita delle stablecoin – un tipo di valuta digitale – aumenterà la domanda di buoni del Tesoro.

Un'altra opzione è quella di emettere più debito a lungo termine quando i tassi sono bassi, come è successo durante la pandemia, quando gli investitori obbligazionari consideravano i titoli del Tesoro un asset particolarmente sicuro.

Secondo un indice della Bank of America, il tasso di interesse medio su titoli e obbligazioni del Tesoro ha superato il 2,5% prima della pandemia, per poi scendere fino all'1,7% all'inizio del 2022 con l'emissione di nuovo debito. Tale media ha superato il 3% a marzo e ha continuato a crescere.

"C'è questa linea di pensiero secondo cui avremmo dovuto rifinanziare il debito a tassi di interesse più bassi"

"Quando ne abbiamo avuto la possibilità", ha affermato Gennadiy Goldberg, responsabile della strategia sui tassi statunitensi di TD Securities "lo abbiamo fatto".

Nel lungo periodo, fare pressione sulla Fed affinché abbassi i tassi di interesse a vantaggio del governo può rivelarsi controproducente, ha affermato Robin Brooks, senior fellow presso la Brookings Institution, di orientamento liberal. Una Fed troppo concentrata sulla riduzione dei tassi a breve termine può alimentare i timori di inflazione, spingendo al rialzo i tassi a lungo termine.

"È davvero, davvero importante avere una banca centrale indipendente", ha affermato Brooks. "Nel tempo, la credibilità che si costruisce in questo modo è il modo in cui si garantiscono bassi costi di finanziamento".

Scrivete a Richard Rubin all'indirizzo richard.rubin@wsj.com

Apparso nell'edizione cartacea del 20 settembre 2025 con il titolo "Il taglio dei tassi della Fed non allevierà il peso del debito statunitense".

Nell’ambito della nostra fortunatissima serie Detox, i cui temi hanno segnato i mercati finanziari lungo tutto il 2025 (e così sarà anche per tutto il 2026) a noi di Recce’d è sembrato necessario fare oggi il punto della situazione, a pochi giorni di distanza da una nuova riunione della Banca Centrale americana: riunione che segnerà la parte finale del 2025, per ciò che riguarda i mercati finanziari del Mondo intero.

Affidiamo per questo la chiusura del nostro Post di oggi ad un contributo di John H. Cochrane, il maggiore studioso di Finanza al Mondo. In questo contributo, Cochrane (di orientamento conservatore) esamina nel suo complesso la politica economica della Amministrazione Trump nel 2025, legando i temi dell’inflazione, delle tariffe e del dollaro USA come valuta di riserva. Noi in Recce’d giudichiamo questo il migliore contributo possibile alla comprensione dei temi della riunione della settimana prossima, e delle successive reazioni che vedremo sui mercati finanziari.

Come sempre, noi abbiamo scelto di presentare ai lettori questo intervento perché di elevata qualità, di grande chiarezza e di notevole praticità. Al tempo stesso, chiariamo anche questa volta che non tutte le opinioni qui espresse sono condivise da Recce’d.

Le nostre attuali scelte di portafoglio, e la nostra futura strategia per i portafogli modello, NON sono modellate su queste conclusioni.

Se siete interessati a conoscere le nostre posizioni attuale e future, è molto semplice contattarci, attraverso la pagina CONTATTI del nostro sito.

I desideri di Trump in materia di politica monetaria non sono folli. Prendete sul serio le sue idee sui tassi di interesse, l'indipendenza della Fed e la valuta di riserva.

Di John H. Cochrane

21 ottobre 2025, 16:24 ET

Il mondo della politica monetaria è sgomento, ma i desideri del presidente Trump in materia di politica monetaria non sono così folli come si pensa comunemente.

Vedo tre desideri generali: i tassi di interesse dovrebbero essere più bassi, in parte per ridurre i costi degli interessi sul debito. La Federal Reserve dovrebbe essere meno indipendente, soggetta a una maggiore responsabilità democratica. E il "privilegio esorbitante" o lo "status di valuta di riserva" – ovvero il fatto che il mondo voglia detenere i nostri soldi e acquistare il nostro debito, inviandoci beni in cambio – danneggia gli Stati Uniti.

La risposta standard: tassi di interesse più bassi porteranno rapidamente a una maggiore inflazione. Ma quanto presto e quanto? Le migliori stime empiriche indicano che tassi di interesse più bassi portano a un'inflazione nulla o leggermente inferiore per circa un anno, per poi aumentare leggermente l'inflazione dopo due o tre anni. Anche questa risposta è poco significativa statisticamente. E poiché gli aumenti inattesi dei tassi di interesse studiati da queste stime in genere svaniscono entro un anno circa, dicono poco sui tassi di interesse persistentemente bassi.

La teoria economica mainstream, o "neokeynesiana", prevede che un tasso di interesse permanentemente più basso alla fine ridurrà l'inflazione, a parità di altri fattori (in particolare la politica fiscale), anche se l'inflazione potrebbe aumentare temporaneamente. Questa è un'implicazione inquietante che i sostenitori, in gran parte di centro-sinistra, hanno difficoltà ad applicare alla realtà, ma è così. Certo, forse decenni di teoria del consenso sono completamente sbagliati. Gli economisti hanno già perseguito teorie sbagliate in passato. Ma se è nelle equazioni dei vostri modelli, la proposizione merita almeno di essere presa in considerazione.

Anche i dati storici sono contrastanti. Il fatto che l'inflazione non abbia registrato alcun miglioramento in un decennio di tassi di interesse prossimi allo zero, e in tre decenni in Giappone, sembra confermare questa visione teorica secondo cui l'inflazione è stabile con un tasso di interesse fisso e che alla fine seguirà tassi di interesse più alti o più bassi. Sì, i bassi tassi di interesse che hanno finanziato ingenti deficit hanno contribuito all'inflazione in molti paesi. Ma se un governo non espande la politica fiscale, i risultati sono meno chiari. Certo, i bassi tassi di interesse in risposta agli shock di "offerta", come negli anni '70 e '20, hanno coinciso con l'inflazione. Ma anche l'effetto esatto dei bassi tassi, e di altre risposte fiscali e non fiscali, è poco chiaro.

Noi economisti non sappiamo con certezza se, come, in quali circostanze o con quale rapidità i bassi tassi di interesse portino all'inflazione. Sospetto che sì, nonostante le equazioni dei miei modelli, ma questo è ben lontano dalla scienza.

La Fed ha ampliato notevolmente il suo raggio d'azione, sostenendo i prezzi delle attività, monetizzando il debito, canalizzando il credito, indirizzando le banche su come investire, sconfinando nel clima e nella disuguaglianza e negando interi modelli di business come le banche ristrette e i conti separati. Queste azioni sono politiche e si riversano sulla politica fiscale e sull'allocazione del credito. Non ha fatto i conti con i suoi grandi fallimenti istituzionali, tra cui un'inflazione del 10% e ripetuti salvataggi.

L'indipendenza non è una virtù assoluta. Il nostro ordinamento costituzionale non prevede funzionari completamente indipendenti che possano stampare moneta e regolamentare le banche a loro piacimento. È ragionevole discutere di riforme. O la Fed deve essere più "democraticamente responsabile", che equivale a "politicamente influenzata" quando l'altro partito è al potere, oppure deve essere riformata con un mandato ristretto, imposto e responsabile, in modo da poter rimanere indipendente. Come sostenitore di un governo limitato, preferisco la seconda opzione. Ma le riforme di un governo limitato sono fuori moda e forse irrealistiche. In ogni caso, sollevare semplicemente il ponte levatoio, issare la bandiera dell'"indipendenza" e riversare un disprezzo smisurato sui barbari all'ingresso non è una risposta praticabile.

Secondo l'opinione generale, se il mondo desidera così tanto i nostri soldi e il nostro debito da poterli semplicemente stampare, inviare all'estero e ottenere beni di consumo in cambio, la risposta appropriata è un bel biglietto di ringraziamento. Ma bisogna ammettere che questa strategia ha avuto i suoi lati negativi. Spagna e Portogallo coniarono la moneta mondiale quando trovarono oro e argento nelle Americhe e li usarono per acquistare beni di consumo. Le loro industrie languirono e poi finirono in povertà. Il denaro è una forma di "maledizione delle risorse" che colpisce molti produttori di petrolio e altre materie prime vitali. La Svizzera rifiuta l'offerta mondiale e rimane produttiva.

Persino i neomercantilisti hanno ragione, sepolta sotto un cumulo di fallacie. Paesi che gestiscono deficit commerciali perpetui per finanziare i consumi, indebitandosi all'estero per farlo, alla fine, devono ripagare il debito.

Risparmiare e investire, piuttosto che indebitarsi e consumare, è positivo per un'economia, così come per una famiglia. Il problema centrale nel nostro caso – e in gran parte della storia – è che il denaro è stato consumato anziché investito.

Questa scelta deriva dai deficit pubblici per finanziare i consumi, e dalle barriere legali, fiscali e normative che rendono gli investimenti privati ​​meno redditizi. Pertanto, dazi doganali, controlli sui capitali, imposte sui titoli e politica industriale peggioreranno la situazione. Meglio togliersi di mezzo.

Ma in tutti e tre i casi, il punto fondamentale ha un suo fondamento, degno di essere esaminato e non di un disprezzo immediato.

Il signor Cochrane è senior fellow presso l'Hoover Institution e ricercatore associato presso il Cato Institute.

Valter Buffo
Detox. Magari fosse una bolla (invece è un'altra cosa)
 

Alle bolle finanziarie, ormai, siamo abituati.

Anno 2000. Anno 2007. Anno 2021.

Tanto … poi si ricomincia, tutto d’accapo, e tutto come prima.

Ecco: non è così oggi.

Non è della bolla, che noi investitori dobbiamo occuparci. E preoccuparci.

Questo è il suggerimento, come sempre pratico e concreto, che Recce’d oggi regala ai lettori del Blog.

Che anche oggi invitiamo ad un contatto diretto, per approfondire insieme, utilizzando la pagina CONTATTI di questo sito.

Che questa sia una bolla, ormai lo riconoscono tutti. Persino il Corriere della Sera. Persino (pensate!) Goldman Sachs e JP Morgan, due realtà la cui vita stessa dipende dal loro quotidiano “pompaggio”, che serve appunto a gonfiare la bolla.

Senza bolla, Goldman Sachs e JP Morgan chiudono, come il Mondo ha visto nel 2008.

Ecco la ragione per cui se ne preoccupano: non per voi, né per i loro Clienti. La posta in gioco è la loro stessa sopravvivenza.

Le avete lette le trimestrali di queste due banche internazionali, durante l’ultima settimana? Fareste bene a rivederle: ora e qui, noi non abbiamo spazio e tempo per un commento.

Torniamo quindi al tema de “La Bolla”: come si fa, a pompare la bolla, ancora ed ancora, se si è al tempo costretti ad ammettere che “siamo tutti in una bolla”?

Come si può tenere ancora in piedi il baraccone?

Una risposta prova ad offrirla l’immagine che segue. Una risposta che però a noi di Recce’d non convince. E più avanti spieghiamo anche il perché.

Proviamo quindi a ragionare insieme su ciò che è scritto nell’immagine che segue.

Spiega questo autorevole commentatore che per la prima volta in tutta la storia dei mercati finanziari oggi qualsiasi asset sta sui massimi: sia gli assets cosiddetti “rischiosi” come le Borse, sia gli assets cosiddetti “rifugio” come l’oro. Questo fatto dovrebbe già avere catturato la vostra attenzione, se seguite il lavoro di Recce’d con regolarità.

Noi, lo abbiamo già più e più volte segnalato come la caratteristica più evidente e significativa dell’attuale momento dei mercati finanziari.

Non era mai successo: e perché invece oggi succede? E che tipo di segnale, di informazione, di indicazione porta a noi investitori?

Questo autorevole commentatore, come potete leggere sopra, spiega questa evidente e forte anomalia scrivendo che

“… si tratta di una fuga dal dollaro USA, che soffre perché in questo momento è sui massimi anche la sfiducia in tutte le monete cosiddette “fiat”, ovvero tutte le monete che vengono emesse dalle Banche Centrali …”

Correttamente, questo commentatore cerca di unire, in una sola spiegazione i livelli massimi di mercati finanziari “risky” e “rifuglio”, come è necessario e logico fare. Il commentatore dice che si tratta di

sfiducia nel sistema monetario e finanziario degli Stati Uniti.

Noi di Recce’d abbiamo affrontato questo tema in decine di occasioni, anche qui nel Blog, tra il 2020 ed il 2025. Abbiamo chiarito che la perdita di fiducia è nei fatti da anni, e che metterà in moto una catena di eventi che modificherà nel profondo le strutture ed il funzionamento dei mercati monetari e finanziari (ed anche l’ultima settimana ha portato nuovi segnali in questo senso, segnali che nel Blog approfondiremo la settimana prossima).

Riconosciuto tutto questo, dobbiamo però mettere all’attenzione di voi lettori due semplificazioni in questo argomento, semplificazioni che riducono la sostenibilità di questa spiegazione, e come detto sopra la rendono poco sostenibile.

La prima delle due semplificazioni è che se questa “corsa verso i massimi dei prezzi di tutti gli asset” fosse spiegata da una generale crisi di fiducia nelle valute emesse dalle Banche Centrali, allora le medesime cose che si scrivono qui a proposito del dollaro USA andrebbero scritte anche a proposito dell’euro, dello yen, e di tutte le altre valute emesse dalle Banche Centrali.

Il che comporta … che cosa?

Ovviamente, comporterebbe che tutti i mercati finanziari, in tutto il Mondo, manifesterebbero il medesimo comportamento. Ovvero, che tutto è al massimo dappertutto.

Ma non è così: e vi sarà sufficiente mettere a confronto il comportamento della Borsa americana con il comportamento della Borsa in Europa negli ultimi 5 anni.

Oppure, ancora più facilmente, date un’occhiata al prezzo dell’oro di ieri, e poi date uno sguardo al petrolio di ieri.

No: c’è qualche cosa che non torna in questi dati, e dunque questo argomento non è del tutto convincente. Non è una spiegazione solida dei “massimi di tutti gli asset”.

E poi, forse ancora più importante, c’è una seconda semplificazione nell’immagine che vi abbiamo presentato sopra: la spiegazione dei massimi di mercato sulla base della sfiducia nel sistema, e nelle monete “fiat” stampate dalle Banche Centrali, non regge per una seconda ragione, persino più importante.

Nelle immagini vedete i rendimenti dei Titoli di Stato.

I nostri lettori sanno che il rendimento dei Titoli di Stato varia inversamente rispetto al prezzo. Se il rendimento è elevato, il prezzo è basso.

Questi titoli, questa asset class, non si trova oggi ai massimi di prezzo. Non ci sta neppure vicino. Nessuno corre ad acquistare Titoli di Stato (nonostante i prezzi bassi).

Forse qualche lettore obbietterà che “è normale, visto che questi titoli sono denominati proprio in quelle monete, le “fiat money”, che sono create dalle Banche Centrali e verso le quali oggi sui mercati domina la sfiducia”.

Fermatevi a riflettere su questo per un momento: a voi questo sembra un argomento sostenibile? Vi accontentate di una spiegazione come questa?

Vi sbagliate. Non sta in piedi.

Chiariamo subito: la sfiducia verso le Banche Centrali esiste, e la si riscontra un po’ dovunque.

Ma questo non spiega il rialzo di tutti gli asset (tranne i Titoli di Stato).

Non lo spiega, e non vi aiuta a capire meglio le attuali condizioni dei vostri portafogli titoli.

Se la “sfiducia verso le monete emesse dalle Banche Centrali”, come scritto nell’immagine che ripetiamo proprio qui sopra, allora il rialzo di tutto, dalle Borse all’oro fino al Bitcoin, sarebbe destinato a prolungarsi all’infinito.

Come accadde negli Anni Venti dello scorso Secolo, in Germania: la Repubblica di Weimar è passata alla storia esattamente per questa ragione.

Noi di Recce’d vi offriamo una spiegazione alternativa, più chiara e più solida. Una spiegazione che vi porta a conclusioni molto diverse, rispetto a quelle offerte dall’immagine qui sopra.

Se il punto fosse quello che leggete nell’immagine, e tutto partisse dalla sfiducia verso le monete delle Banche Centrali: se il punto fosse quello, però, che cosa succederebbe ai Titoli di Stato che vi abbiamo raccontato con i tre grafici più in alto?

Vi siete fatti due conti? Avete immaginato le conseguenze?

E se quel comparto, ovvero quello dei Titoli di Stato, fosse investito dalla tempesta della sfiducia, in quella tempesta quale sarebbe il prezzo del Bitcoin, delle Borse, dell’oro e del petrolio?

Fatevi due conti. Leggete un po’ di storia. E ripensate anche al 2022.


Come spiegazione della “bolla del tutto” (spiegazione indispensabile, per prendere oggi qualsiasi decisione, grande e piccola, sul proprio portafoglio di investimenti, grande o piccolo) vi serve qualcosa d’altro. Noi come detto ne abbiamo una alternativa, che porta a conclusioni del tutto diverse da quelle offerte nell’immagine dalla quale abbiamo preso spunto in questo Post. Non si tratta di sfiducia nella moneta, nel dollaro USA (il quale peraltro viene scambiato a 1,1650, oggi come cinque anni fa).

Si tratta invece , come dice qui sopra l’immagine, di

un segnale di allarme per il sistema finanziario tradizionale: i Paesi cosiddetti Sviluppati hanno perso la loro credibilità come buone destinazioni per i capitali.

Noi ne abbiamo già scritto, con dettaglio per i nostri Clienti, ed anche qui nel Blog. Fin dallo scorso marzo, ed ogni settimana per sette mesi, nella nostra serie Detox.

Se davvero la situazione che stiamo tutti affrontando in queste settimane fosse semplicemente una “bolla”, come ci spiegano adesso anche tutti i quotidiani italiani, allora sarebbe tutto sommato abbastanza facile gestire il proprio risparmio.

Invece non è per niente facile, perché non è solo una bolla. Si tratta di un momento epocale di passaggio: un cambiamento generale, che coinvolge i mercati finanziari, ma non solo.

Difficilissimo da gestire: ma che offre pure enormi opportunità di guadagno.

Servono autocontrollo, lucidità e pazienza. E poi competenza, metodo ed esperienza.

In particolare, nei momenti nei quali TUTTI cominciano a scrivere e parlare di “scoppio della bolla” (e lo leggete anche nel contributo che riportiamo qui sotto, tradotto per voi.). Noi vi aggiorniamo su ciò che si scrive e si dice, ed allo stesso tempo vi ripetiamo che oggi non è il 1999. Non è il 2008. Invece, è una cosa diversa. Che va gestita quindi in modo diverso.


Queste sono le parole del giornalista finanziario e autore Andrew Ross Sorkin, che ha lanciato un avvertimento agli investitori durante un'intervista andata in onda domenica nel programma "60 Minutes" della CBS.

Sorkin ha pubblicato un nuovo libro, "1929", sul grande crollo del mercato azionario di quasi un secolo fa. E ha dichiarato alla giornalista della CBS News, Lesley Stahl, di vedere alcune somiglianze con il mercato in forte espansione di oggi.

"Temo che i prezzi che stiamo registrando potrebbero non sembrare sostenibili", ha detto Sorkin, osservando che o ci troviamo in un "boom notevole" alimentato dai titoli basati sull'intelligenza artificiale, oppure "tutto è sopravvalutato".

Sorkin ha affermato che è difficile dire che il mercato non si trovi attualmente in una bolla, simile alla bolla delle dot-com del 2000 e alla bolla immobiliare del 2008. Ma la domanda è: "quando scoppierà la bolla?"

"Direi che l'economia è sostenuta, quasi artificialmente, dal boom dell'intelligenza artificiale", ha affermato, secondo una trascrizione. "Oggi vengono investiti centinaia di miliardi di dollari nell'intelligenza artificiale. Questa è una corsa all'oro o una corsa allo zucchero, e probabilmente non sapremo per un paio d'anni quale delle due."

Sorkin non è l'unico a temere che questa bolla scoppi. L'amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha recentemente dichiarato di essere "molto più preoccupato di altri" per un'imminente correzione delle azioni statunitensi, ovvero un calo di almeno il 10% ma non più del 20%, con una probabilità di circa il 30%. Nel frattempo, gli analisti della società di ricerca indipendente MacroStrategy Partnership hanno recentemente affermato che la bolla dell'intelligenza artificiale è ben 17 volte più grande della bolla delle dot-com e quattro volte più grande della bolla immobiliare del 2008.

Aumentano le preoccupazioni di Sorkin la rimozione delle barriere normative da parte dell'amministrazione Trump, la crescente dipendenza dal debito e le recenti iniziative per consentire investimenti di private equity nei conti pensionistici 401(k).

Questa combinazione di fattori è ciò che lo preoccupa. "Non è che domani precipiteremo", ha detto Sorkin. "È che oggi c'è speculazione sul mercato, c'è un debito crescente sul mercato, e tutto questo sta accadendo sullo sfondo della caduta delle barriere".

Sorkin ha affermato che un crollo del mercato è inevitabile, prima o poi. "Quando la fiducia scompare, succede così", ha detto, schioccando le dita. "La risposta è che avremo un crollo; non posso dirvi quando, né quanto profondo. Ma posso assicurarvi, purtroppo – vorrei non dirlo – che avremo un crollo."


Si garantisce qui sopra che avremo un “crollo”: ci dice che è una certezza.

Ma il crollo di che cosa? Leggendo il contributo precedente, tutti i nostri lettori avranno pensato ai “crolli di Borsa” del passato.

Più in alto in questo Post, però, avete letto di un tipo diverso di “crollo”: un altro autorevole commentatore diceva che è “crollata” la fiducia nelle Banche Centrali, e che proprio questa sfiducia spinge gli asset verso i massimi storici.

Noi di Recce’d ci sentiamo di escludere che, nell’ottobre 2025, la gestione del portafoglio debba essere centrata sull’eventualità del “crollo di Borsa”.

Se le Borse in futuro soffriranno, di certo non si tratterà di una “correzione” e neppure di un “crollo” delle Borse tipo 2000, ma di un evento di instabilità più ampia e di portata generale.

Diverso quindi dal 2008, e diversissimo dal 2000.

Il nostro suggerimento, oggi, ad ogni lettore, è di concentrare la propria attenzione sulla seguente domanda: chi sarà chiamato ad intervenire, domani, se si presentasse un fenomeno di instabilità finanziaria? Chi oppure che cosa sarà chiamato a “salvare il Mondo”? Le Banche Centrali come nel 2008? Donald J. Trump? Putin? Xi?

Quali sono oggi i porti sicuri? Gli ancoraggi per noi investitori?

Recce’d vi risponde, ed è una risposta chiara e forte. Questa volta, noi investitori saremmo lasciati a noi stessi.

Per questa ragione, noi vi suggeriamo di prepararvi. E di preparare i vostri portafogli. Di ragionare da oggi in modo totalmente diverso dal passato.

Di cambiare interlocutore, confidente, consulente. e di contattare Recce’d, attraverso la pagina CONTATTI del sito.

Il perché viene ben sintetizzato nell’articolo che chiude il Post. Questi sono i temi trattati dal marzo 2025, nella nostra serie di Post che si chiama Detox. E questi sono temi sui quali oggi voi lettori non potete permettervi il lusso di non avere la massima chiarezza di idee. Perché è il vostro risparmio che state mettendo a rischio.



15 ottobre 2025

Il mercato azionario americano ha oscillato ultimamente a causa dell'inasprimento delle tensioni commerciali, ma rimane vicino al suo massimo storico. L'impennata, alimentata dall'entusiasmo per l'intelligenza artificiale, ha suscitato paragoni con l'esuberanza della fine degli anni '90, culminata nel crollo delle dot-com del 2000. Sebbene l'innovazione tecnologica stia innegabilmente rimodellando i settori industriali e aumentando la produttività, gli investitori hanno buone ragioni per temere che l'attuale rally possa preparare il terreno per un'altra dolorosa correzione del mercato. Le conseguenze di un simile crollo, tuttavia, potrebbero essere molto più gravi e di portata globale rispetto a quelle avvertite un quarto di secolo fa.

Al centro di questa preoccupazione c'è l'enorme portata dell'esposizione, sia nazionale che internazionale, alle azioni americane. Negli ultimi quindici anni, le famiglie americane hanno aumentato significativamente le loro partecipazioni nel mercato azionario, incoraggiate dai solidi rendimenti e dal predominio delle aziende tecnologiche americane. Per le stesse ragioni, gli investitori stranieri, in particolare europei, hanno riversato capitali sulle azioni americane, beneficiando al contempo della forza del dollaro. Questa crescente interconnessione implica che qualsiasi brusca flessione dei mercati americani si ripercuoterà in tutto il mondo.

Per mettere in prospettiva il potenziale impatto, calcolo che una correzione di mercato della stessa entità del crollo delle dot-com potrebbe spazzare via oltre 20.000 miliardi di dollari di ricchezza per le famiglie americane, equivalenti a circa il 70% del PIL americano nel 2024. Questa cifra è di gran lunga superiore alle perdite subite durante il crollo dei primi anni 2000. Le implicazioni per i consumi sarebbero gravi. La crescita dei consumi è già più debole rispetto a prima del crollo delle dot-com. Uno shock di questa portata potrebbe ridurla di 3,5 punti percentuali, traducendosi in un calo di due punti percentuali della crescita complessiva del PIL, anche senza considerare il calo degli investimenti.

Le ricadute globali sarebbero altrettanto gravi. Gli investitori stranieri potrebbero subire perdite di ricchezza superiori a 15.000 miliardi di dollari, pari a circa il 20% del PIL del resto del mondo. A titolo di confronto, il crollo delle dot-com ha causato perdite all'estero per circa 2.000 miliardi di dollari, circa 4.000 miliardi di dollari in valuta attuale e meno del 10% del PIL del resto del mondo all'epoca. Questo netto aumento delle ricadute sottolinea quanto la domanda globale sia vulnerabile agli shock provenienti dall'America.

Storicamente, il resto del mondo ha trovato un certo margine di sicurezza nella tendenza del dollaro ad apprezzarsi durante le crisi. Questa "fuga verso la sicurezza" ha contribuito ad attenuare l'impatto della perdita di ricchezza denominata in dollari sui consumi esteri. La forza del biglietto verde ha a lungo fornito un'assicurazione globale, spesso apprezzandosi anche quando la crisi ha origine in America, poiché gli investitori cercano rifugio in asset in dollari.

Vi sono, tuttavia, ragioni per credere che questa dinamica potrebbe non reggere nella prossima crisi. Nonostante le fondate aspettative che i dazi americani e la politica fiscale espansiva avrebbero rafforzato il dollaro, questo si è invece deprezzato rispetto alla maggior parte delle principali valute. Sebbene questo non segni la fine del predominio del dollaro, riflette comunque il crescente disagio degli investitori stranieri riguardo alla traiettoria della valuta. Stanno sempre più ricorrendo a coperture contro il rischio legato al dollaro, un segno di un calo della fiducia.

Questo nervosismo non è infondato. La percezione della forza e dell'indipendenza delle istituzioni americane, in particolare della Federal Reserve, gioca un ruolo cruciale nel preservare la fiducia degli investitori. Tuttavia, recenti controversie legali e politiche hanno messo in dubbio la capacità della Fed di operare al riparo da pressioni esterne. Se queste preoccupazioni si aggravassero, potrebbero ulteriormente erodere la fiducia nel dollaro e, più in generale, negli asset finanziari americani.

Inoltre, a differenza del 2000, la crescita si trova ad affrontare forti ostacoli, alimentati dai dazi americani, dai controlli cinesi sulle esportazioni di minerali essenziali e dalla crescente incertezza sulla direzione che sta prendendo l'ordine economico globale. Con livelli di debito pubblico a livelli record, la capacità di utilizzare stimoli fiscali, come è stato fatto nel 2000 per sostenere l'economia, sarebbe limitata.

A complicare la situazione, e ad aumentare il rischio complessivo, c'è l'escalation delle guerre tariffarie. Ulteriori dazi reciproci tra America e Cina danneggerebbero non solo il loro commercio bilaterale, ma anche quello globale, poiché quasi tutti i paesi sono esposti alle due maggiori economie mondiali attraverso complesse catene di approvvigionamento. Più in generale, evitare decisioni politiche caotiche o imprevedibili, comprese quelle che minacciano l'indipendenza delle banche centrali, è fondamentale per prevenire un crollo del mercato.

Nel frattempo, è importante che il resto del mondo generi crescita. Il problema non è tanto lo squilibrio commerciale quanto la crescita squilibrata. Negli ultimi 15 anni, la crescita della produttività e i rendimenti elevati si sono concentrati in poche regioni, principalmente in America. Di conseguenza, le basi dei prezzi delle attività e dei flussi di capitale sono diventate sempre più ristrette e fragili.

Se altri paesi fossero in grado di rafforzare la crescita, ciò contribuirebbe a correggere lo squilibrio e a porre i mercati globali su basi più solide. In Europa, ad esempio, le imprese potrebbero completare il mercato unico ed approfondire l'integrazione: il che potrebbe aprire nuove opportunità e attrarre investimenti. I premi Nobel per l'economia di quest'anno offrono una preziosa ricetta per una crescita guidata dall'innovazione. Vi sono segnali incoraggianti che i capitali stiano iniziando a rifluire verso i mercati emergenti e altre regioni. Tuttavia, questa tendenza potrebbe arrestarsi a meno che queste economie non dimostrino di essere in grado di generare una crescita costante.

In sintesi, è improbabile che un crollo del mercato oggi si traduca nella breve e relativamente benigna recessione economica seguita alla crisi delle dot-com.

C'è molta più ricchezza in gioco ora, e molto meno margine di manovra politico per attutire il colpo di una correzione.

Le vulnerabilità strutturali e il contesto macroeconomico sono più pericolosi.

Dovremmo prepararci a conseguenze globali più gravi.

Gita Gopinath è professoressa di Economia Gregory e Ania Coffey presso l'Università di Harvard. È stata la prima vicedirettrice generale del FMI dal 2022 al 2025 e capo economista dal 2019 al 2022.

Valter Buffo